IL REGOLAMENTO

Pmi al riparo dai colossi hi-tech: ecco le nuove norme per le piattaforme online

Aumento della trasparenza, maggiore efficacia nella risoluzione delle controversie, istituzione di un osservatorio Ue e diritto di class action: i quattro pilastri del pacchetto che punta a migliorare l’ecosistema imprenditoriale limitando lo strapotere dei big americani. Ma la Ccia non ci sta: “Regulation ingiustificata”

Pubblicato il 26 Apr 2018

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Google, Apple, Amazon, Expedia, Booking, eBay: sono solo alcuni dei colossi di Internet e dell’hitech che dovranno sottostare a severe regole in Europa per gestire i rapporti commerciali con le aziende più piccole. Il pacchetto di nuove norme per le piattaforme online presentato oggi dalla Commissione europea offre, a detta di Bruxelles, “una rete di sicurezza alle piccole imprese nell’economia digitale”. In pratica, prende di mira i motori di ricerca, i negozi di applicazioni mobili, i siti di e-commerce o di prenotazioni viaggi: che siano i voli aerei su Skyscanner, le camere d’hotel su Booking, i libri di Amazon o gli accessori su eBay, l’Europa esige trasparenza nei risultati delle ricerche di prodotti e servizi.

Le nuove norme si inseriscono nella costruzione del mercato unico digitale e fanno seguito a quanto annunciato dal Presidente Jean-Claude Juncker nel suo discorso sullo stato dell’Unione del 13 settembre 2017 per “garantire un contesto imprenditoriale equo, prevedibile, sostenibile e affidabile nell’economia online”. L’Ue vuole creare un contesto imprenditoriale equo, trasparente e prevedibile per le piccole imprese e gli operatori commerciali minori che utilizzano piattaforme online. Tra coloro che trarranno vantaggio dalle nuove norme vi sono alberghi, operatori commerciali che vendono online, sviluppatori di applicazioni e altre imprese simili che ricorrono ai motori di ricerca per indirizzare il traffico Internet verso i loro siti web. Secondo la Commissione europea, quasi il 50% delle imprese europee che operano su piattaforme online incontra problemi; nel 38% dei casi i problemi connessi a relazioni contrattuali restano irrisolti, mentre nel 26% dei casi vengono risolti con difficoltà. Secondo la Commissione europea, ciò porta ad una perdita diretta di vendite che oscilla tra 1,27 e 2,35 miliardi di euro.

Aumento della trasparenza, maggiore efficacia nella risoluzione delle controversie e istituzione di un osservatorio dell’Ue per monitorare gli effetti delle nuove norme sono i tre pilastri del Regolamento proposto da Bruxelles (e che dovrà essere approvato da Parlamento e Consiglio europei prima di diventare legge). La Commissione propone che d’ora in poi le piattaforme che agiscono da intermediari tra i venditori e i consumatori siano più chiare nei confronti delle imprese sui criteri e gli algoritmi utilizzati per visualizzare i risultati, i prezzi di questi servizi, la differenza di pubblicità tra i servizi ‘interni’ offerti dalla piattaforma e quelli di aziende esterne. “I servizi di intermediazione online e i motori di ricerca devono stabilire i criteri generali che determinano l’ordine in cui i beni e i servizi sono classificati nei risultati di ricerca”, spiega una nota dell’esecutivo europeo; “devono garantire che le condizioni applicate agli utenti professionali siano facilmente comprensibili e disponibili; vanno stabiliti in anticipo i motivi per cui un utente professionale può essere eliminato dall’elenco o sospeso da una piattaforma”.

C’è di più: la proposta dell’Ue dà alle aziende il diritto di unirsi e fare causa insieme contro le piattaforme online che violano le nuove regole su non-discriminazione e trasparenza. Le nuove norme chiedono infatti ai prestatori di servizi di intermediazione online di istituire un sistema interno di trattamento dei reclami; “per agevolare la risoluzione extragiudiziale delle controversie tutti i prestatori di servizi di intermediazione online dovranno elencare nelle loro condizioni i nominativi dei mediatori indipendenti e qualificati con cui intendono cooperare in buona fede per la risoluzione delle controversie. L’industria sarà anche incoraggiata a designare volontariamente mediatori indipendenti specifici capaci di gestire le controversie sorte nell’ambito dei servizi di intermediazione online. Infine, alle associazioni che rappresentano le imprese sarà riconosciuto il diritto di agire in giudizio per conto delle imprese per ottenere l’applicazione delle nuove norme in materia di trasparenza e risoluzione delle controversie”. La Commissione conferma così l’apertura alla class action in una forma europea, come già fatto per il “New deal for consumers” presentato a inizio mese per garantire a tutti i consumatori europei un rafforzamento complessivo della tutela dei loro diritti e che permettere di avviare anche in Ue una forma di azione rappresentativa e collettiva, tramite soggetti riconosciuti.

Aziende come il servizio musicale in streaming Spotify da tempo chiedono all’esecutivo Ue di regolare le relazioni commerciali tra piattaforme Internet e imprese, sostenendo che le prime hanno interesse a mettere in posizione di svantaggio i servizi concorrenti. Spotify ha alzato la voce soprattutto dopo l’ingresso di Apple nello streaming musicale (rafforzatosi a dicembre con l’acquisizione di Shazam) e poi con l’entrata nell’arena anche di Amazon. Tuttavia al momento le norme annunciate dall’Ue non hanno soddisfatto Digital Music Europe, che include Spotify, Deezer e Soundcloud, perché, a detta dell’associazione, non affrontano le pratiche discriminatorie che potrebbero insorgere quando una piattaforma online è anche concorrente diretta delle imprese terze che usano quella piattaforma.

Critici i colossi del web americani. CCIA, che rappresenta tra gli altri Google, Amazon e eBay, ha precisato su Reuters che le piattaforme online già si adoperano per mantenere buone relazioni con le imprese che si avvalgono delle loro piattaforme, perché tali buone relazioni sono la base del loro business. “Non c’è alcun segnale di un problema sistemico che giustifichi una regulation applicata con lo strumento legislativo più forte presente in Ue”, dice la CCIA, secondo cui “un approccio più flessible anziché un Regolamento eccessivo e applicato indiscriminatamente sarebbe più utile alla crescita dell’economia digitale dell’Europa“.

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