Quokky incontra Apple: “Tutto molto easy, ecco cosa ha voluto sapere Cook”

Il founder Filippo Veronese a CorCom: “È stato molto gentile, non ha fatto pesare la sua posizione. Bene il progetto di Napoli. Chi fa una startup Ict viene visto come il ragazzino che vuole fare la scommessa milionaria, invece vuole aprire un’azienda come accadeva 20 anni fa”

Pubblicato il 26 Gen 2016

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“È stato molto gentile, non ha fatto pesare la sua posizione”. Ci tiene a specificarlo Filippo Veronese, uno degli ideatori di Quokky, l’app che archivia in digitale documenti cartacei. È stato lui a rappresentare la startup ideata con Marco Zingarelli e Luciano Bandolin durante l’incontro romano con Tim Cook. A CorCom Veronese racconta l’incontro con il top manager, soffermandosi sul progetto di Apple a Napoli e sui problemi che oggi incontra chi vuole fare impresa 2.0.

Cinque minuti per parlare con Tim Cook. Come avete sfruttato un’occasione del genere?

L’incontro è stato molto piacevole e informale. Mentre si mangiava qualcosina si chiacchierava con Renzi e Cook. In questa situazione ho avuto modo di parlare qualche minuto con loro due, raccontandogli il nostro prodotto. Siamo andati a toccare l’argomento dei pagamenti, al quale si è mostrato particolarmente interessato. Ci ha fatto i suoi complimenti, informandosi su cosa vogliamo fare nel futuro. È stato molto gentile, non ha fatto pesare la sua posizione.

Che tipo di segnale è l’annuncio di Apple sull’apertura del centro europeo per le app a Napoli?

È importantissimo, perché portare il primo centro europeo in Italia dà valore al fatto che siamo creativi e innovativi. Tra il centro e l’indotto i margini di crescita sono importanti.

La creazione di poli di innovazione sparsi per il paese è il modello giusto da seguire?

Servono sicuramente, perché c’è grande ignoranza in giro. Chi fa una startup Ict viene spesso visto come il ragazzino che vuole fare la scommessa milionaria, invece vuole aprire un’azienda. Vent’anni fa si creavano sedie, oggi si fanno applicazioni. È solo cambiato il mercato. Manca però il supporto all’intero sistema e all’università mancano corsi specifici. Sapere grosse nozioni di economia o di informatica non basta, serve una formazione più specifica. Il posizionamento del centro è strategico perché in Italia molte startup arrivano dal Sud, che dal progetto di Apple può trarne solo benefici.

Crede quindi che l’università debba fare di più?

È un insieme di cose. La formazione universitaria non prepara al meglio a fare impresa. Sai leggere un bilancio, ma non basta. È vero che serve l’esperienza, ma le basi per la costruzione i laureati non ce le hanno.

Su cosa interverrebbe per accelerare lo sviluppo delle imprese 2.0 italiane?

Vado in controtendenza perché per una startup l’ultimo dei problemi è la burocrazia, come spesso sento dire. Aprire una società non è difficile. Ciò che manca sono i soldi per supportare l’attività, anche se il Fondo di Garanzia (l’agevolazione del Mise per Pmi e nuove imprese innovative che può coprire in garanzia fino all’80% del prestito erogato dalle banche, ndr) è stata un’ottima intuizione. I fondi di investimento sono ancora pochi. Per di più, le imprese non sono molto interessate a fare open innovation, finanziando una startup per sviluppare un prodotto. Noi abbiamo trovato un’azienda che ha deciso di fare questo, ma siamo ancora un caso eccezionale.

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