SCENARI

Dallo smart working al lavoro mobile: fibra e 5G sparigliano le carte

A firma di Giuseppe Mele, da 30 anni nel settore delle Tlc e dell’informatica, il libro “Smartati, gli sbandati del lavoro agile”, per districarsi fra normative e modalità contrattuali del lavoro a distanza ma soprattutto per affrontare la rivoluzione in atto. La banda ultralarga il pilastro per costruire un nuovo modello operativo. Ma management e sindacati devono cambiare approccio

Pubblicato il 29 Gen 2021

Enzo Lima

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È consuetudine parlare nel gergo sindacale di mobilità, per indicare l’abbandono prematuro del posto di lavoro, dovuto a crisi e costi aziendali, che distrugge tante competenze. La tele-mobilità può sostituire questa mobilità, permettere una vita lavorativa più facile, più lunga; nuovi obiettivi di lavoro, il premio per il merito, senza chiusure aprioristiche alle opportunità di carriera a qualunque età; in una parola una sostenibilità convergente e conciliante tra azienda e persona”: è dedicato al lavoro “mobile” uno dei capitoli del libro “Smartati, gli “sbandati” del lavoro agile, dal telelavoro allo smart working” di Giuseppe Mele (edito da goWare). Il testo oltre a ricostruire l’evoluzione del lavoro a distanza – un tempo chiamato telelavoro oggi smart working – e a ripercorre le relative tappe legislative entra anche nel dettaglio della contrattualistica di lavoro, con esempi in base ai vari comparti e le misure adottate nel corso del tempo. Un excursus determinante per chi oggi deve prendere decisioni e definire i nuovi perimetri anche e soprattutto sull’onda dei cambiamenti rivoluzionari innescati dalla pandemia e sulla progressiva diffusione delle reti in fibra e della prossima generazione 5G.

“Il lavoro è destinato a essere solo un’attività e non più un luogo, anche quando svolto in sede – si legge nel testo-. Il lavoro o meglio il lavoro mobile è attività perché si focalizza veramente sull’importanza dei risultati; non sul dove ma sulla cosa si fa e sui rapporti instaurati. I dispositivi tecnologici danno la possibilità di lavorare proficuamente ovunque si desideri, senza inficiare la produttività, ma con una migliore gestione del proprio tempo. Per dipendenti messi in condizione di svolgere la prestazione senza vincoli spaziali a parità di controllo, l’organizzazione tradizionale diventa diseconomica da diversi punti di vista”. E oltre al risparmio di energia, minore inquinamento e ottimizzazione della produttività la nuova modalità mobile “determina un’espansione dei servizi settoriali e territoriali gestiti da reti esistenti con competenze specifiche che potranno offrire migliori servizi con meno risorse e costituiranno un’evoluzione migliorativa dell’outsourcing già tanto diffuso”.

L’ufficio professionale, pubblico o erogatore di servizi che in rete diventano light, va dunque al di là del “telelavoro domiciliare” a cui siamo abituati. “Il telelavoro mobile coglie le nuove opportunità di aggregazione e di business offerte dalla rete, per essere più competitivi senza rinunciare alla qualità e al valore professionale. Il lavoro a distanza mobile ha un impatto sociale positivo, di maggiore produttività e di abbattimento di costi ridondanti privati e collettivi”. Ma il telelavoratore rischia di vedersi tutelare troppo per alcuni aspetti e troppo poco per altri: “Management e sindacato devono credere in un controllo del lavoro diverso perché per dare al lavoro dipendente, nella continuità delle garanzie, la flessibilità che già ha con costi umani e sociali molto maggiori il lavoro autonomo. Non trovare le giuste soluzioni implica perdere buona occupazione nella disoccupazione e nel lavoro nero. Nelle nuove condizioni tecnologiche bisogna evitare surplus di stress e salvaguardare in nuovi modi salute e sicurezza di lavoratori. L’Ict non offusca la cultura del lavoro e della rappresentanza pur nella necessità di trovare i momenti aggregativi adatti, telematici e reali”.

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