L'EDITORIALE

Agcom, competenza o poltrone da assegnare?

Siamo (forse) alla vigilia delle nomine. La mobilitazione della stampa e della Rete ha dato un po’ più di trasparenza ai processi di selezione. L’ultima parola, come è giusto, spetta alla politica. In ballo c’è la qualità della nuova Authority ma anche la credibilità delle istituzioni

Pubblicato il 28 Mag 2012

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Siamo a pochi giorni dalla votazione parlamentare per i quattro nuovi commissari di Agcom e del futuro presidente che prenderà il posto di Corrado Calabrò. Già fissato per il 24 aprile, l’appuntamento con le Camere è stata poi rinviato. Speriamo che stavolta sia la volta buona. L’attuale Agcom è in prorogatio, ma non nei pieni poteri di iniziativa. Tematiche importanti come la tutela del diritto d’autore, l’assegnazione delle frequenze, le regole per le nuove reti Ngn, per dirne alcune delle più urgenti, richiedono un’Authority in grado di lavorare al meglio e di prendere decisioni autonomamente.

Un ulteriore rinvio non determinerebbe soltanto la prorogatio di un vuoto di potere in Agcom, ma sarebbe anche un ulteriore segnale mandato al Paese di una classe politica che non sa decidere, lontana dalla gente e vicina a giochi di potere e poltrone ormai implosi in se stessi.

Questo giornale è stato tra i primi a chiedere che le nomine in Agcom, così come nell’Authority per la Privacy anch’essa in prorogatio e nel nuovo consiglio di amministrazione della Rai, avvengano nel segno della trasparenza: non privilegiando i giochi di poltrone o i “premi” ai valvassori più fedeli, bensì scegliendo i candidati basandosi sui criteri della competenza, dell’esperienza professionale, dell’indipendenza e, perché no, della disponibilità a lavorare per il bene comune piuttosto che per se stessi.

Da quando abbiamo lanciato il nostro appello alla trasparenza, passi avanti si sono indubbiamente fatti. Grazie anche alla Rete e ai social network, il dibattito sulle nomine Agcom è uscito per la prima volta dai Palazzi della politica per coinvolgere una fetta più ampia di cittadini. È un fatto positivo, anche se la ridda confusa delle candidature e un clima da stadio che a volte emerge non aiuta certo una valutazione serena ed equilibrata dei nomi. La Rete, in ogni caso, ha tirato i politici per la giacca.

È ovvio che è la politica a dovere decidere le nomine di Agcom e non i referendum su Twitter. Avviene in tutto il mondo. C’è, piuttosto, da chiedersi se le nostre procedure di nomina, volte ad assicurare l’accordo (o il patto spartitorio se si vuole essere cattivi) fra i partiti siano le più adatte ad assicurare trasparenza e scelte migliori. Tra l’altro, non sarebbe stato male se oltre a scegliere i candidati, le forze politiche avessero aperto un dibattito sul ruolo di Agcom, il suo senso, i suoi ambiti di iniziativa, il suo futuro in un mondo che è molto cambiato dalla legge istitutiva.

Sta, comunque, alla politica tagliare il nodo delle nomine. Venendo allo scoperto e proponendo ufficialmente dei nomi. Tutti potranno così vedere se verrà premiata la competenza o la voglia di distribuire poltrone. Nel primo caso, avremo commissari autorevoli e indipendenti; nel secondo, i nominati non si sottrarranno al marchio di dipendenza dal partito che li ha proposti.

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