Beauty contest, ecco come trasformarlo in soluzione win-win

L’idea di regalare frequenze televisive non piace a nessuno. Tanto più se il valore potrebbe arrivare a 16 miliardi per i 40 canali dedicati alla Tv e a circa 2,4 miliardi per le sei frequenze assegnate con un “concorso di bellezza”. E ancora di più se la gara viola i principi di neutralità del servizio e della tecnologia. Ecco invece la proposta di Antonio Sassano e Carlo Cambini per un’asta che non danneggi nessuno (comprese le tvi locali). E che potrebbe fruttare almeno un miliardo di euro

Pubblicato il 08 Dic 2011

L’idea di regalare frequenze televisive con un “beauty
contest” non piace a nessuno. Tantomeno in questi giorni di duri
sacrifici per tutti. L’asta che ha assegnato le frequenze banda
800MHz ha rivelato un valore di 50 milioni di euro a MHz e quindi
potrebbe arrivare a 16 miliardi per i 40 canali dedicati alla Tv e
a circa 2,4 miliardi per le sei frequenze assegnate con un
“concorso di bellezza”. La cessione di questo patrimonio
pubblico, a titolo gratuito e per un uso esclusivamente
radio-televisivo, sembra davvero un grave errore.

I LIMITI DELLA GARA

È necessario partire da una premessa: l’orientamento di tutti
gli organi di governo dello spettro elettromagnetico (Itu, Fcc,
Commissione Europea, Autorità nazionali) è quello di un uso
neutrale dello spettro sia in termini di servizi che in termini di
tecnologia. Il nostro “beauty contest” viola sia la neutralità
del servizio che quella tecnologica. Cinque frequenze sono
destinate allo specifico servizio televisivo e alla specifica
tecnologia digitale terrestre (Dvb-T). Una è riservata alla
tecnologia digitale mobile (Dvb-H) o al futuro Dvb-T2 ed è da
sempre tacitamente destinata a Telecom Italia Media, allo scopo di
sanare il “vulnus” creato dalla regola: “due reti digitali
per ogni tre analogiche”. Regola pensata per Rai e Mediaset (con
tre reti), ma che condanna TIMedia a un rapporto di conversione
analogico-digitale del 50 per cento (una sola rete digitale a
fronte delle due analogiche in suo possesso), contro il 66 per
cento di Rai e Mediaset e il 100 per cento delle altre reti
nazionali.
Ma c’è di più. Il “beauty contest” è destinato a una
specifica tipologia di operatori: gli operatori televisivi italiani
verticalmente integrati. I punteggi infatti favoriscono operatori
con forte presenza sul mercato nazionale e in grado di svolgere, al
massimo livello qualitativo, sia il ruolo di operatori di rete che
quello di fornitori di contenuti. Operatori di rete e fornitori di
contenuti “puri” sono stati costretti ad associarsi a priori; e
infatti si sono tenuti lontani dalla gara.
A peggiorare lo scenario sono poi intervenute le scelte
“tecniche” del ministero che ha assegnato le frequenze di tutti
i canali dal 61 al 69 alle emittenti locali in ogni Regione del
Nord, per poi decidere, pochi giorni dopo, che le stesse frequenze
appena assegnate dovevano essere “espropriate” a pagamento ai
neo-assegnatari e messe ad asta per gli operatori mobili.
Tutto questo, oltre ad aumentare le difficoltà di liberazione
della banda dell’asta Lte, ha provocato un aumento
dell’interferenza e diminuito la qualità di tutte le frequenze
del “beauty contest”, tranne due: i canali 55 e 58.
Sfortunatamente, il ministero ha deciso di assegnare i due canali
al Lotto B, destinato a Mediaset, Rai e Telecom e precluso a Sky.
Quest’ultimo operatore peraltro si è ritirato dal “concorso”
a causa delle lungaggini burocratiche, eliminando di fatto
dall’assegnazione l’unico vero entrante.
Insomma, un “beauty contest” che regala un bene pubblico di
altissimo valore, che viola i principi di neutralità del servizio
e della tecnologia, che favorisce gli operatori italiani
verticalmente integrati, che assegna le frequenze migliori agli
“incumbent” e di fatto “cristallizza” il mercato.
Soprattutto, una gara che non contribuisce a creare le condizioni
per un uso razionale dello spettro e non apre il mercato come
richiesto dall’Europa per chiudere la procedura di
infrazione.

UNO SCENARIO DOVE TUTTI VINCONO

Prima che tutto ciò si realizzi e che il nuovo ministro scriva la
parola fine alla lunga storia, vorremmo provare a dimostrare che
una diversa strada è possibile.
Come primo passo si dovrebbe, in nome della neutralità
tecnologica, consentire l’uso con tecnica digitale terrestre
(Dvb-T) delle frequenze di “legacy” attualmente vincolate al
digitale mobile (in mano a Mediaset e H3G). Simmetricamente, la
frequenza a gara nel Lotto C, per la quale ha presentato domanda la
sola TIMedia, le potrebbe essere assegnata, risolvendo una parte
del contenzioso legale e sanando il “vulnus” di un fattore di
conversione analogico-digitale pari a metà di quello garantito
alle altre reti nazionali minori. Anche la Rai potrebbe restituire
l’attuale “multiplex” Vhf sul canale 11 (destinato al Dvb-T2)
e la frequenza extra ottenuta in ogni Regione per ottenere, in
cambio, uno dei “multiplex” attualmente a gara. Questa scelta
aumenterebbe la qualità della copertura del servizio pubblico e
libererebbe una frequenza Uhf e una Vhf in ogni Regione per
l’emittenza locale.
Tutte queste azioni risolverebbero gran parte del contenzioso
legale e porterebbero il numero di “multiplex” di Mediaset e
Rai a cinque. Esattamente il “cap” previsto dalla Commissione
Europea.
I restanti 4 “multiplex” (valore di circa 1,6 miliardi di euro)
del “beauty contest” potrebbero essere oggetto di un’asta a
rilanci competitivi riservata a operatori di rete “puri”
(ovvero non verticalmente integrati con un fornitore di contenuti)
che dovrebbero massimizzare la capacità trasmissiva disponibile e
riservarla, per un periodo limitato (cinque anni), alle
trasmissioni televisive. Due terzi della capacità potrebbero
essere riservati ai fornitori di contenuti nuovi entranti sul
mercato nazionale, mentre il terzo rimanente potrebbe essere
destinato alle emittenti locali. Dopo il 2016 si potrebbe
consentire un uso più flessibile dello spettro, coerente con
l’evoluzione tecnologica.
Un’asta di questo tipo potrebbe essere appetibile per gli
operatori di telefonia mobile, ma anche per operatori come Tdf,
Arqiva, Dmt o Dfree. L’asta potrebbe anche favorire, in modo
virtuoso per il sistema, una separazione proprietaria di RaiWay e
Elettronica Industriale dai rispettivi gruppi. Nessuno sarebbe
costretto a separarsi verticalmente, i gruppi verticalmente
integrati potrebbero semplicemente non partecipare alla gara e
accontentarsi delle frequenze (non poche) già in loro
possesso.
Nessuno sarebbe danneggiato da questa soluzione. Rai e Mediaset
otterrebbero il massimo di “multiplex” consentiti dalla
Commissione Europea. Telecom Italia vedrebbe riconosciuto il suo
diritto a un “multiplex” in più. Le emittenti locali
guadagnerebbero due frequenze in ogni Regione e fino a un terzo
della capacità trasmissiva dei 4 “multiplex” a gara. Inoltre,
con opportuni meccanismi, parte dei proventi della gara potrebbe
essere di nuovo destinata a favorire la liberazione dello spettro.
Due terzi della capacità trasmissiva andrebbero a nuovi entranti e
questi ultimi potrebbero essere fornitori di contenuti “puri”
(come Sky) e non dovrebbero preoccuparsi di realizzare e gestire le
reti. Gli operatori di rete potrebbero massimizzare, in ogni
scenario tecnologico futuro, la capacità trasmissiva per gli
utenti (Dvb-T2, Lte eccetera). L’obbligo di separazione verticale
(proprietaria) richiesta ai vincitori della gara, condizionerebbe
la configurazione del mercato nella restante parte della banda
televisiva, preparandola al secondo dividendo digitale. Lo Stato
incasserebbe almeno un miliardo di euro.
Insomma, uno scenario “win-win” che dovrebbe convincere tutti
ad abbandonare quello “lose-lose” del “beauty contest”. Che
ne dice, ministro Passera?

* L'articolo si trova su lavoce.info

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