Quando nel 2005 ha comprato MySpace, il primo social network a
diventare un fenomeno globale, Murdoch ha sborsato 580 milioni di
dollari. Per diventare azionista di Facebook, Microsoft ha sborsato
240 milioni per l’1,6% delle azioni, che vuol dire aver valutato
il sito creato da Mark Zuckerberg 15 miliardi di dollari. Insomma,
le cifre in ballo sono alte. Ma a fronte di valutazioni così
imponenti, i social network sono veramente in grado di produrre
profitti? Di certo Zuckerberg con l’idea di Facebook si è
sistemato, visto che la rivista Forbes stima il suo patrimonio in
un miliardo e mezzo di dollari. Ma in realtà la società per ora
ha ricavi che sono insufficienti per pagare la banda e l’energia
necessaria per far funzionare la rete. I ricavi hanno superato i
300 milioni nel 2008 e sono in crescita, ma le spese crescono ad un
ritmo maggiore. “Dobbiamo puntare a una crescita significativa e
continua – ha chiosato poco tempo fa in occasione di una
conferenza stampa online Zuckerbeg -. I profitti verranno
dopo”.
Le voci però si rincorrono e la società ha battuto cassa più
volte e prima del previsto ai propri investitori, Microsoft in
testa; ha aumentato gli ads (pubblicità) e, non ultimo, si è
auto-svalutata a 3 miliardi e mezzo di dollari. Dovendo risarcire
alcuni ex compagni di Harvard, l’Ad di Facebook ha (in seguito al
processo) stabilito un valore di 8 dollari e 88 centesimi ad
azione, circa 4 volte in meno di quello che Microsoft pagò nel
2007. E le voci di cambio di modello, con la creazione di un
account a pagamento, continuano a rincorrersi; d’altra parte, il
grande numero di utenti del sito, renderebbe possibili ricavi
ingenti anche se la maggior parte degli iscritti rimanesse con un
limitato account base.
Una strada, quella dell’account premium, che è già stata
seguita dai business social network, Linkedin e Xing in testa.
L’azienda di Palo Alto, che come MySpace gravita nell’immensa
galassia-Murdoch, nel 2008 ha generato100 milioni di ricavi e circa
10 milioni di profitti; i profitti di Xing invece si sono fermati a
“soli” 5,7 milioni. Una cifra triplicata rispetto al 2007.
Questo tipo di reti sta in parte usufruendo dell’effetto crisi e
quindi della maggior attenzione dei professionisti alla ricerca di
nuovi lavori; ma per colpa della tempesta finanziaria che sta
squassando tutte le più grandi aziende del mondo, i fondi
destinati ai social network dalle multinazionali e dalle grandi
aziende, sempre in cerca di nuove persone da reclutare, sono
destinati a ridursi e rischiano di mettere in discussione anche
questo modello di business.
Una parentesi meritano i social network rivolti a un pubblico più
giovane, come Bebo, che, grazie a campagne pubblicitarie uscite
dalla Rete e arrivate fino ai cellulari, ha triplicato i profitti,
portandoli a 5 milioni e spinto i ricavi fino a quota 20. Di
certo avere decine di milioni di utenti costituisce per i social
network più grandi una risorsa inestimabile. “Soprattutto
perché questo consentirà di diversificare i ricavi – sostiene
Eric Eldon ex fondatore della start up Writewith
-. Nessun business è a prova di recessione, ma fra ricavi
pubblicitari e altre entrate la situazione potrebbe essere più
facile di quanto molti pensino”. Soprattutto se le aziende
continueranno a usare i social network per comunicare con i
clienti, una strada che molti big, come Comcast e Microsoft, hanno
intrapreso per sfruttare la possibilità di raggiungere milioni di
persone in tutto il mondo. A basso costo.