Bruno Bossio (Pd): “Governo non arretri sulla banda ultralarga”

La deputata lancia l’allarme: “La mancata presentazione del decreto Comunicazioni rischia di ostacolare la realizzazione del piano Bul”. E avverte: “Serve un quadro normativo certo sulle modalità di impegno dello Stato”

Pubblicato il 07 Lug 2015

Federica Meta

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“Il governo sta dando una spinta fondamentale per realizzare il piano di crescita digitale del paese: per la prima volta c’è una visione d’insieme che integra domanda e offerta, esplicitata dai documenti di strategia sulla Crescita digitale e sulla banda ultralarga e dalla carta di cittadinanza digitale prevista nella riforma della PA. Ma rilevo una battuta d’arresto pericolosa”.

Enza Bruno Bossio, deputata Pd e membro della commissione Trasporti e Tlc della Camera, evidenzia i limiti della strategie del governo in tema di innovazione.

Cosa la preoccupa?

Soprattutto la mancata presentazione del decreto Comunicazioni che, a mio avviso, dà un colpo mortale alla effettiva attuazione del Piano BUL. Va considerato infatti che sul fronte dell’offerta la possibilità di investimento pubblico, tramite fondi Ue, riguarda soprattutto nelle Regioni del Sud: senza un quadro normativo sulle modalità di impegno dello Stato, le cosiddette aree bianche del resto d’Italia rischiano di rimanere fuori da investimenti pubblici e privati. Altro punto dolente riguarda i voucher: senza di essi il sostegno alla domanda, necessario per la penetrazione dei 100 mega, viene meno mettendo a rischio il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda digitale europea.

In Italia le politiche per il digitale soffrono per una governance frammentata. Lei che idea si è fatta?

È stato importante aver assegnato all’Agenzia per l’Italia digitale braccio operativo del Ministero della PA nel processo di digitalizzazione, ma per dare ulteriore spinta all’innovazione dobbiamo coinvolgere anche le Regioni, creando degli ecosistemi digitali di dimensione regionale per offrire un contributo decisivo all’opera del governo in questo ambito fondamentale per il futuro dell’Italia.

Sul fronte del governo “politico” dell’innovazione c’è chi auspica la creazione di un ministero dell’Innovazione oppure una delega totale a Palazzo Chigi. Lei da che parte sta?

Non credo che un ministero ad hoc sia la soluzione ottimale, perché questo opererebbe come soggetto verticale mentre il digitale è una strategia orizzontale per definizione, che impatta sulla trasformazione complessiva del sistema economico e sociale: la scuola, l’industria, il turismo e non ultima la PA nel suo complesso. Non a caso si parla di quarta rivoluzione industriale. In questo senso credo che sia Palazzo Chigi a dover avere una delega forte mettendo insieme le diverse strategie dei diversi Ministeri, attraverso un’ unica governance dei processi di digitalizzazione del Paese.

Uno dei più grandi gap dell’Italia è quello degli e-skills. Che fare?

Il tema è complesso e come tale va affrontato. Purtroppo devo dire che la Buona Scuola è stata un’occasione mancata: nella riforma la riconversione digitale della didattica non è prevista, a parte qualche frase generica. Ma oggi i ragazzi sono già spesso più avanti dei loro docenti e si sarebbero potuti inserire anche alcuni accorgimenti quali l’uso dei device personali dei ragazzi a scuola. Mutuando l’esperienza del Byod aziendale si sarebbe potuta affrontare secondo un modello più flessibile il tema della scarsità delle risorse e dare contemporaneamente una spinta all’innovazione. Immaginando ovviamente un investimento pubblico per chi invece non è in grado di permettersi questi nuovi strumenti di conoscenza.

C’è anche una responsabilità delle imprese?

La risposta è nei dati, purtroppo. Le imprese italiane sono fanalino di coda in Europa per utilizzo dell’e-commerce e questo penalizza molto i processi di internazionalizzazione. Ecco perché credo sia importante affrontare il tema degli e–skills a livello sistemico pensando a un grade piano di alfabetizzazione che coinvolga, scuola, università e impresa. E sarebbe importante iniziare dalle Regioni del Sud facendo leva ancora una volta sui fondi Ue. In questo sarebbe indispensabile anche obbligare la PA allo switch off della carta entro una data certa, prevedendo penalizzazioni per chi, dopo quella data, si ostina a restare nell’analogico. Se la PA opera in digitale ed eroga servizi online cittadini e imprese saranno spinti ad andare in questa direzione.

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