Cec-Pac, cronaca di un flop

Solo 1,7 milioni di caselle attivate in quattro anni. Tra inadempienze contrattuali e PA latitanti il progetto non è decollato e il governo Letta starebbe pensando di staccare la spina. Ma non tutti concordano: ci sarebbero ampi margini di recupero e valorizzazione

Pubblicato il 03 Feb 2014

Federica Meta

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Doveva rappresentare la testa d’ariete del piano E-gov 2012, lo strumento che avrebbe fatto fare il salto digitale ai cittadini che si relazionano con l’amministrazione e all’amministrazione stessa. È la Cec-Pac (Comunicazione Elettronica Certificata tra Pubblica Amministrazione e Cittadino), la casella di posta elettronica gratuita destinata agli utenti per la sola comunicazione con il settore pubblico che, nella primavera del 2010, l’allora ministro della PA e Innovazione Renato Brunetta aveva lanciato, affermando senza termini che a fine 2010 sarebbero stati “oltre 2 milioni” gli utenti dotati della casella mentre “il 100% degli enti” si sarebbe adeguato.

L’obiettivo era quello di abbattere il numero di raccomandate A/R – la Pec gratuita ha infatti lo stesso valore della raccomandata – destinate alla PA con conseguente aumento dell’efficienza degli enti pubblici nell’erogazione dei servizi.

Ma quegli obiettivo – sia a livello di numero sia di prestazioni – non sono stati raggunti e, oggi, a quattro anni dal lancio del servizio gestito da Poste e Telecom, le caselle attive sono poco più di 1 milione e 700mila mentre superano di poco le 500mila unità le richieste di attivazione che non hanno avuto seguito: il che vuol dire che i cittadini non hanno fatto il passo successivo per dotarsi del servizio ovvero andare presso gli sportelli postali per il riconoscimento – la Cec-Pac funzionava anche come strumento di identificazione digitale quindi era necessario un contatto “diretto” con il richiedente.

Un flop sul quale il Corriere delle Comunicazioni ha provato a fare chiarezza partendo dall’imminente scadenza del contratto – a fine febbraio – stipulato nel 2009 dall’allora Dipartimento per l’Innovazione tecnologica (Dit) con Poste Italiane e Telecom Italia del valore di 50 milioni di euro. Contratto che ha “sofferto” in qualche modo della successiva soppressione del Dit, impattando negativamente anche sulla gestione della Cec-Pac: l’importo effettivamente corrisposto alle due aziende è stato di poco meno di 25 milioni di euro proprio perché, venendo meno il Dipartimento, si è praticamente bloccato il rapporto amministrativo tra i contraenti.

Di riflesso Poste Italiane e Telecom Italia non hanno avviato la fase 2 prevista dal contratto che stabiliva un nuovo collaudo del servizio, l’implementazione della casella e l’adeguamento alle innovazioni tecnologiche. Inoltre non è ben chiaro che fine abbiano fatto i restanti 25 milioni: se siano ancora disponibili in qualche dipartimento non definito dopo l’uscita di scena del Dit o se invece siano stati destinati a qualche altra iniziativa.

Lo stallo del progetto non dipende solamente dai meccanismi contrattuali, ma è da collegarsi anche alle caratteristiche dei processi di innovazione avviati dalle pubbliche amministrazioni, soprattutto da quelle locali, Comuni in prima linea. Già al momento del varo della Cec-Pac, gli enti locali avevano consolidato l’utilizzo di forme di comunicazione digitale tramite il portale istituzionale.

“Al lancio della Cec-Pac, gli uffici comunali avevano già attivato canali telematici per accedere ai servizi – spiegano da Ancitel – Il Cad del 2005 obbligava infatti a pubblicare sui siti istituzionali moduli pre-compilati per l’accesso, ad esempio, alle graduatorie per gli asili nido oppure per la gestione dei tributi locali. E la pubblica amministrazione, a sua volta, poteva obbligare i cittadini ad usare quel modulo, pena il respingimento della richiesta”.

La mancanza di obblighi vincolanti con relativa sanzione per le amministrazioni inadempienti ha poi fatto sì che gli enti abbiano preferito rimanere fedeli alla comunicazione via Internet se non addirittura a quella più tradizionale via raccomandata A/R.

Inoltre non è stato mai definito, da parte delle PA, un piano di attivazione dei servizi web, tra cui la Cec-Pac rientra. Con il risultato che al cittadino non è dato sapere a che cosa serva, nella pratica, lo strumento.

Sommando tutte queste cause – sorti del contratto Poste e Telecom, progressivo consolidamento dei servizi online, mancanza di obblighi stringenti per gli enti- si spiega perché la Pec gratuita non sia riuscita ad imporsi su sistemi digitali e “analogici” preesistenti e a convincere i cittadini ad utilizzarla come strumento primario di relazione con il sistema pubblico.

In questo senso la Cec-Pac rischia di diventare una grana per il governo Letta che ha rilanciato sull’Agenda digitale, puntando però tutto sul sistema di identità digitale (Spid).

La matassa da sbrogliare è finita sul tavolo della task force di Francesco Caio. “Stiamo studiando in queste settimane come far morire questo strumento, nello specifico cosa fare delle caselle attivate che potrebbero creare scontento per i cittadini – fanno sapere dal gruppo di Caio – La Cec-Pac nelle condizioni di oggi, offre ben poche opportunità”. Ma la soluzione potrebbe non essere così alla portata, soprattutto sul versante normativo: alla Pec per i cittadini è infatti legata una parte fondamentale delle previsioni relative all’identità digitale e agli obblighi della PA in materia di comunicazione elettronica, così come la normativa in materia di elezione di domicilio per le comunicazioni con la PA. Nella pratica, la cancellazione del servizio potrebbe avere un effetto domino negativo su tutto il fragile sistema di e-gov italiano.

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