L'INTERVENTO

Dal Co: “L’innovazione diventa fruibile solo quando è fornita dalle imprese”

Nel suo intervento al Cloud Computing Summit di Milano, il direttore generale dell’Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione sottolinea l’importanza di fare sistema. “La PA deve garantire le condizioni affinché la ricerca sia di qualità e le aziende possano investire”

Pubblicato il 27 Mar 2012

Mario Dal Co*, dg AgInnovazione

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La pubblica amministrazione fornisce risorse per la ricerca e per la formazione del capitale umano delle famiglie. Ricerca ed educazione scolastica sono i prerequisiti di ogni processo innovativo.

Ma l’innovazione diventa fruibile, funzionante, economicamente sostenibile solo quando è fornita dalle imprese: le imprese assumono il rischio di trasformare la ricerca in innovazione e l’innovazione in prodotto. Sono le imprese che forniscono innovazione alle famiglie e alla pubblica amministrazione. L’impresa è quindi responsabile della produzione di innovazione del sistema.

Ma la pubblica amministrazione aiuta l’impresa ad affrontare questi rischi, tra cui quello di innovare, rappresenta il cuore stesso del processo di distruzione creatrice di cui parlava Schumpeter? Ancora più a monte, la pubblica amministrazione aiuta gli imprenditori a far nascere nuove imprese?

La pubblica amministrazione dovrebbe garantire le condizioni perchè la ricerca sia di qualità, le imprese possano investire in ricerca e innovazione, le famiglie accedano alla scuola con il risultato di dotarsi e dotare il sistema di un capitale umano sviluppato e capace di fare ricerca, innovazione, impresa, e di far funzionare la pubblica amministrazione. Ce n’è abbastanza da far tremare le vene ai polsi. Invece, secondo alcuni, la pubblica amministrazione non deve contentarsi di questi già onerosi e degni obiettivi. A partire dalla Commissione Europea, la PA vuole anche indicare dove si deve investire e rende disponibili risorse, prelevate dalle imprese attraverso le tasse, su progetti che ritiene strategici, su progetti che ritiene “innovativi”.

Eppure numerosi studi dimostrano l’importanza crescente della “cross fertilization” della ricerca e dell’innovazione, ossia la sempre più frequente capacità delle imprese di utilizzare risultati emersi in un’area della scienza e della tecnologia, e di applicarli in modo inatteso e creativo ad altri campi di attività Ciò significa che non è prevedibili, non solo da parte dello Stato, ma neppure da parte dello stesso ricercatore, il potenziale di applicazioni della sua ricerca. E quindi l’indirizzo dall’alto di dove investire e quanto investire in ricerca e innovazione è un esercizio del potere di prelievo fiscale, ma non un esercizio di indirizzo sulla ricerca e l’innovazione. Gli imprenditori che fanno ricerca, soprattutto se le aziende sono di media e piccola dimensione, non registrano le spese di ricerca come tali, le “spesano” nei costi: in questo modo le deducono immediatamente e subito, senza ammortizzarle. Mentre può essere utile ammortizzarle per le società quotate che hanno bilanci sotto gli occhi dei risparmiatori e degli investitori finanziari. Anche questo spiega come mai in Italia, paese di piccole e medie imprese non quotate e sottocapitalizzate, le spese di ricerca sono così basse: stanno in un altro capitolo di bilancio.

Serve un eco "ecosistema per l’innovazione". Lo ha detto il presidente della Cdp, Franco Bassanini, e condivido il pensiero: occorre una manutenzione di alcune fondamentali norme che regolano, ed essendo invecchiate, inibiscono, lo sviluppo dei servizi digitali nella nostra società. Sono le norme sulla sicurezza dei dati, sulla tutela della privacy, sulla valorizzazione dei beni culturali (Ronchey), sull’accesso ad internet. Di queste solo l’ultima è nata dopo la nascita di internet (perlomeno dell’internet 2.0 di massa) le altre sono precedenti.

La tutela del diritto di immagine della Ronchey è stata definita prima che l’internet 2.0 rendesse disponibili on line le immagini, la musica, i filmati nei più diversi formati: non poteva quindi prevedere quella pluralità di soluzioni economiche e contrattuali che l’espansione del web rende necessarie. E’ solo un esempio di ciò che lo stato deve fare per favorire l’innovazione: creare mercati eliminando limiti e barriere all’ingresso.

D’altra parte l’innovazione arriva nella pubblica amministrazione esattamente attraverso questo processo creativo di apertura di opportunità: è l’impresa che porta l’innovazione nella PA Questa affermazione non è una critica alla scarsa capacità innovativa della PA. Essa deve avere capacità di assorbire innovazione, non di farla, né di guidarla, né di pianificarla, ma di favorirla con quel contesto di mercato che rende più facile e conveniente fare nuova impresa. E farla in Italia invece che altrove…

Ecco che si affaccia uno dei temi più densi e complessi, ma sicuramente più promettenti di lavoro: ha a che fare con la giustizia civile, settore cruciale per assicurare un ecosistema favorevole agli investimenti. E all’interno del civile, il diritto fallimentare presenta oggi un assetto in Italia che scoraggia l’investimento, il venture capital, la capitalizzazione della Pmi.

Quindi lo Stato non h un ruolo diretto nell’innovazione? No, non lo deve avere, deve far funzionare le istituzioni e le regole che garantiscono i mercati, tutelano e rendono facile l’investimento, aiutano l’assunzione di chiare responsabilità e l’assunzione dei rischi. Hai detto niente…

Quindi la risposta è che lo Stato ha un ruolo decisivo sull’innovazione del sistema, un ruolo indiretto, di garanzia che funzioni l’ecosistema.

Se il ruolo dello Stato rimanesse solo indiretto, obietteranno i sostenitori dell’interventismo, i tempi sarebbero lunghi. E invece no, oggi, quella dicotomia tra tempi brevi e tempi lunghi non c’è più, mentre sono rimasti i tempi lunghi e le difficoltà di correzione degli errori tipici dell’interventismo statale. I segnali di mercato nel contesto globale e digitale sono, oggi, molto più veloci di un tempo: gli aggiustamenti dei prezzi che essi producono sono repentini, le ristrutturazioni aziendali rapide, il ciclo di vita dei prodotti breve, la vita -anche degli assetti di capitale- delle imprese mutevole.

L’economia globale non aspetta i tempi lunghi di reazione di mercati sclerotici o le esigenze di mediazione di sistemi pubblici di regolazione troppo penetranti e rigidi. Mentre supera chi si attarda, il mercato globale lo riempie di prodotti e servizi che gli altri, i meno sclerotici, riescono a fare. Oggi hanno senso solo gli interventi che, liberando l’impresa e i mercati, riattivano la mobilità sociale. Il primo è affidare allo Stato uno strumento, l’accountability (responsabilità-responsabilizzazione) e un obiettivo, la buona gestione. La seconda senza la prima non funziona. Prova ne sia la storia della Asl di Salerno, dove con la buona gestione del Commissario straordinario insediatosi un anno fa, il bilancio da una paerdita di oltre 200 milioni è tornato in pareggio, ripartono gli investimenti, riaprono reparti e servizi, vengono pagati i fornitori: gli effetti della buona gestione.

Non si creda che sia facile raccogliere consenso su risultati, pur così eclatanti. Si deve considerare che troppo a lungo il piè di lista irresponsabile a livello di singola amministrazione e l’automatico suo consolidamento nel debito aggregato hanno offuscato qualunque capacità di valutazione da parte del cittadino delle performance. E questo nella sanità accade ancora in larga parte del paese: l’ospedale locale dà il lavoro, le cure serie si vanno a fare al centro-nord.

Un pubblica amministrazione responsabile e capace di premiare il merito al suo interno, lo diceva la Commissione presieduta da Paul Volcker sull’Amministrazione Americana nel 2003, è ciò di cui c’è bisogno.

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