LAVORO AGILE

Sacconi: “Diritto alla formazione continua: è l’articolo 18 post-moderno”

Il presidente della Commissione Lavoro del Senato: “Piano nazionale straordinario da 100 milioni per sostenere l’alfabetizzazione digitale e aiutare la migrazione”

Pubblicato il 07 Mar 2016

Mila Fiordalisi

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«Le nuove tecnologie digitali evolvono e cambiano il modo di produrre con caratteristiche di velocità e imprevedibilità che non hanno precedenti. E partendo da questo fondamentale presupposto si commetterebbe un errore se ci si si illudesse di fissarle e codificarle con un nuovo diritto del lavoro rigido, rincorrendo i cambiamenti con nuove tipologie contrattuali. Eppure le regole devono via via adeguarsi ai nuovi bisogni di tutela del lavoro e ai vantaggi che le novità possono generare per le imprese e per i lavoratori». È questa la vision di Maurizio Sacconi, autore del disegno di legge che per la prima volta apre le porte al “lavoro agile” nel nostro Paese.

La proposta – il cui esame parlamentare procederà di pari passo con quello del ddl di governo (su partite iva e lavoro agile) che prevede una regolamentazione del lavoro cosiddetto “a distanza” – è innovativa quanto “disruptive”. “La mia proposta muove da una visione più ampia del lavoro agile perché l’agilità non si risolve solo nella smaterializzazione della postazione fissa ma investe diffusamente il modo di produrre e lavorare. In conseguenza, essa si preoccupa di fare in modo che le nuove tecnologie vengano accompagnate da una continua riregolazione duttile e flessibile delle modalità con cui si esplicano le diverse forme contrattuali attraverso la contrattazione di prossimità, anche individuale se certificata”, spiega a CorCom l’ex ministro del Lavoro, presidente della Commissione Lavoro del Senato.

Presidente, siamo alle porte di un cambiamento senza precedenti.

Sì, è così. Anche perché stanno già cambiando e cambieranno sempre di più gli schemi organizzativi aziendali. Il modello verticale e gerarchico lascia il passo a un’organizzazione di tipo sempre più orizzontale in cui ciascuno, responsabilmente e creativamente grazie al supporto delle tecnologie, lavora per fasi, risultati, obiettivi. E ciò comporta la rimodulazione non solo dell’orario di lavoro ma anche degli inquadramenti, delle mansioni, della retribuzione, che deve essere ridefinita appunto sulla base del risultato. Qualunque sia la tipologia contrattuale, che ci si riferisca quindi al lavoro di tipo subordinato o autonomo, bisogna adattarne i modi dando capacità agli accordi individuali e a quelli collettivi aziendali o territoriali così da corrispondere alle rinnovate esigenze del lavoratore e dell’azienda.

Il lavoro agile a quali tipologie di lavoratori può essere applicato?

La proposta riguarda i lavoratori con contratti di durata superiore all’anno e una retribuzione annua di oltre 30mila euro, inseriti in contesti tecnologicamente evoluti o addetti a funzioni di impiego delle tecnologie. Con una specifica attenzione a progettisti e ricercatori qualificati da dottorati di ricerca acquisìti anche con apprendistato di alta formazione. Ne sono esclusi i lavoratori con basse competenze, redditi modesti, rapporti di breve periodo.

Non si rischia la perdita di posti di lavoro?

Il saldo negativo nel breve periodo è previsto da molti analisti del mercato del lavoro, ma non bisogna darlo per scontato. Come accaduto per le altre rivoluzioni industriali, credo che anche nella “quarta rivoluzione” sia possibile fare in modo che non ci sia un saldo negativo, nemmeno nel breve periodo. Dipende da noi, da come gestiremo il cambiamento. E dobbiamo essere consapevoli che spesso le vecchie regole, le stesse tutele tradizionali, possono rappresentare un freno e diventare una gabbia.

Come si farà a “riconvertire” le figure professionali che rischiano di più?

L’alfabetizzazione digitale, per la quale prevedo un piano nazionale straordinario di 100 milioni di euro, sarà determinante in un Paese nel quale la quota di lavori routinari destinati a sparire è particolarmente elevata. Perché se è vero, ad esempio, che le nuove “macchine” prenderanno il posto di molti lavoratori, è anche vero che qualcuno a queste macchine dovrà garantire manutenzione e impiego ottimale. Ecco dunque che le competenze diventano determinanti. I lavoratori tutti dovranno avere diritto all’apprendimento continuo. È quello che potremmo considerare il post-moderno articolo 18 in quanto rivolto a garantire la occupabilità non più sulla base di norme statiche e difensive ma attraverso l’accesso a conoscenze e competenze, Nella mia proposta sono indicati per i lavoratori agili specifici percorsi di apprendimento con certificazione annuale delle competenze acquisite insieme a specifiche norme a tutela della salute e sicurezza, in quanto corrispondono a loro diritti primari.

Ha accennato al diritto alla sicurezza, come si farà a garantirlo considerate le nuove dinamiche?

Anche la sicurezza, per essere effettiva, ha bisogno di modi agili che la garantiscano nei vari luoghi di produzione o di trasferimento. E qui sarà determinante il ruolo dei medici del lavoro a cui andrebbe affidata la funzione di certificazione delle modalità idonee. Così come si ipotizzano visite periodiche. Si passerebbe cioè dal sistema degli adempimenti formali a buone pratiche sostanziali che tengono conto delle tecniche più evolute. Il diritto alla sicurezza include poi anche un altro importante diritto, quello alla disconnessione.

Cioè?

È necessario che le parti definiscano delle fasce orarie di disconnessione, altrimenti il rischio è che il lavoratore diventi “schiavo” della connessione permanente. Diverse grandi aziende tedesche e francesi hanno già raggiunto accordi per evitare il fenomeno dell’always on – Volkswagen, Bmw, Henkel, Axa France, Orange… e in Francia si sta discutendo di inserire il diritto alla disconnessione nell’ordinamento. Il tema è tanto attuale quanto delicato, non può essere lasciato alla improvvisazione.

Il lavoro agile può essere applicato anche ai dipendenti pubblici?

Certamente. L’agilità diventa caratteristica immanente del lavoro soprattutto nel terziario, quindi anche nelle PA. Il terziario ha grande possibilità di impiego delle tecnologie e il terziario pubblico le sta utilizzando in maniera minimale e tradizionale. La vera riforma delle amministrazioni pubbliche non si fa con l’ennesima rivoluzione normativa ma con veri e propri piani industriali di riorganizzazione delle grandi funzioni, accompagnati da investimenti formativi nelle competenze digitali.

Secondo lei i sindacati “accoglieranno” senza riserve il nuovo corso che si va delineando?

L’atteggiamento è sicuramente di apertura. Ma anche in questo caso la rapidità della contrattazione e la sua capacità di correlarsi alla velocità con cui marciano le nuove tecnologie saranno determinanti. Le faccio un esempio: sono in corso le negoziazioni per il nuovo contratto dei metalmeccanici e gli inquadramenti dei lavoratori fissati dal contratto uscente risalgono al 1973, ossia disegnati su un contesto tecnologico che oggi è “antico”. La soluzione non sta però tanto in nuovi inquadramenti nazionali, ma nella definizione di linee guida che lascino spazio all’adattamento alle specifiche condizioni di ciascuna impresa e quindi alla contrattazione aziendale e individuale.

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