L'INTERVISTA

Soro: “Serve una no-tax area per l’innovazione”

Il presidente del Corecom Lazio: “Le Regioni hanno un ruolo cruciale per attuare le strategie di sviluppo”

Pubblicato il 21 Mag 2012

Tra poco più di un mese il Governo Monti metterà nero su bianco le proposte per l’Agenda digitale italiana. È un mese in cui si giocheranno partite decisive per il futuro digitale del Paese: dalla nuova Agcom all’asta per le frequenze, passando per la riforma della Rai. Per capire se questa cabina di regia messa insieme dal ministro Corrado Passera si stia muovendo nella direzione giusta, abbiamo raccolto il punto di vista di chi, sul territorio, è da tempo alle prese con le sfide dell’innovazione. Ad occuparsene, presso le Regioni, sono i Corecom, le authority regionali per le comunicazioni:o Francesco Soro è Presidente del Corecom Lazio e già Presidente nazionale dei Corecom.

Presidente, qual è concretamente l’apporto che le Regioni oggi possono dare?

La classe politica del nostro Paese sembra aver fatto finalmente propria l’idea per cui le reti di nuova generazione sono uno dei fattori fondamentali della crescita e della competitività del Paese. Ora è essenziale la sinergia fra i diversi livelli di governo per trasformare le leggi in efficaci politiche per il territorio. In questa prospettiva, le Regioni possono essere chiamate a svolgere un’importante funzione di promozione e attuazione delle strategie di sviluppo del governo. In particolare rispetto alla banda larga, come dimostra la positiva esperienza della Lombardia.

Banda larga. È questo un tema centrale all’interno della Cabina di Regia per l’Agenda digitale. La direzione la convince? Come si dovrebbe procedere?

Certamente. Quando è cominciata la partita della rivoluzione digitale abbiamo perso il calcio d’inizio e ora dobbiamo correre per raggiungere gli altri. Questo vuol dire investire nei cosiddetti interventi “enabler”, senza i quali ci ritroveremmo alla guida di una Ferrari con il motore di una Cinquecento. La banda larga è, senza dubbio, un enabler. Parallelamente, è necessario avviare quanto prima i lavori su altre linee di intervento come open data e start up o, perché no, immaginare una “no tax area” per l’innovazione. Diversamente, inseguiremo gli altri per sempre.

Non inseguire vuol dire puntare anche sui propri vantaggi competitivi. Secondo lei quali sono quelli su cui dovrebbe puntare l’Italia?

La creatività è, da sempre, un nostro asset vincente, quindi abbiamo il dovere di scommettere su chi è in grado di creare e innovare. Penso soprattutto ai giovani, ai talenti imprenditoriali, agli start upper. Questo deve tradursi in interventi, concreti e tangibili, rivolti a chi sa fare di un’idea un’impresa affinché l’infrastruttura possa essere popolata da contenuti. Ma vuol dire anche mettere a sistema investitori e creativi, università e imprese.

Sui contenuti si gioca la partita del futuro. Il suo Corecom ha investito molto in questa direzione. Penso ad esempio al progetto Next TV.

I contenuti sono la chiave per interpretare il futuro. E la televisione è un esempio lampante della forza dei contenuti. Next Tv ha successo perché copre un vuoto. È un news-site di aggiornamento su trend e opportunità della tv del futuro, che nasce dall’esigenza di fornire ai giovani e agli operatori del settore le chiavi per interpretare le complesse evoluzioni del mercato, indirizzandoli verso i nuovi modelli di business dell’era della convergenza cross-mediale.

Anche la crossmedialità è un tema da Agenda Digitale?

Trasversalmente lo è. Un tema che richiede una strategia e una vision condivise e su cui rischiamo di rimanere irreversibilmente indietro. Abbiamo detto della banda larga, ora dobbiamo fare dei decisi passi in avanti nella direzione della net neutrality, com’è scritto a chiare lettere nell’Agenda Digitale europea, e soprattutto regolamentare in modo equilibrato il diritto d’autore, spiegando agli ultras delle due fazioni, quella del “tutto è di tutti” e quella del “mio è solo mio”, che non si può prescindere da una soluzione che contemperi ambedue gli interessi. Non si può d’altronde immaginare né una rete a libertà limitata, né l’idea che chi fa investimenti possa rimanere in balia di rapaci e parassiti del web.

Dunque, se tutto viaggerà su Internet, perché quest’attenzione esasperata al beauty contest e all’asta per le frequenze tv?

Anzitutto, vorrei scindere la parola frequenze dalla parola televisive. Come ci ha ripetutamente ricordato il Presidente Calabrò, l’etere è a rischio saturazione e si rende pertanto necessaria una rivisitazione dello spettro frequenziale che tenga presente, da un lato, i legittimi interessi dell’industria televisiva e delle telco e, dall’altro, l’interesse pubblico all’uso efficiente e razionale dello spettro. In questa direzione si è espressa anche la Conferenza Wrc-12 di Ginevra, nell’affrontare l’argomento del “secondo dividendo digitale”. Al netto degli aspetti politici del dibattito, tutto questo dovrebbe portare ad un riassetto organico del sistema, che distingua tra chi investe, crea occupazione e va nella direzione della convergenza cross-mediale e chi, invece, vive alla giornata occupando spazio frequenziale.

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