L'ANALISI

Boom dell’e-commerce e del digitale, è ora di venire a capo della Digital Tax

Manca all’appello la circolare esplicativa della Dst italiana che prevede un’aliquota del 3% da applicarsi sui ricavi. Sarebbe auspicabile accelerare su questo fronte, anche tenendo conto delle risorse che serviranno al Paese per aiutare la ripresa post Coronavirus. L’analisi di Fulvia Astolfi

Pubblicato il 24 Mar 2020

Fulvia Astolfi

Partner Responsabile dipartimento italiano di Tax di Hogan Lovells

web-tax

Alla luce delle recenti restrizioni alla libertà di movimento dettate sul piano nazionale ed internazionale dall’emergenza sanitaria in atto, si registra un aumento esponenziale degli scambi di beni e servizi attuati attraverso piattaforme digitali.

Tali operazioni, avendo luogo nell’ambito di quella che viene comunemente definita la digital economy, soggiacciono alla nuova digital services tax (la “Dst”) di cui all’articolo 1, commi 35-50 della legge di bilancio per il 2019, che per larga parte ricalca il contenuto della Proposta di Direttiva della Commissione Europea COM(2018)148. Risulta quindi di primaria importanza definire le regole applicative della stessa, onde garantire un corretto trattamento fiscale dei redditi dell’economia digitale.

La Dst si sostanzia in un’aliquota del 3% da applicarsi sui ricavi derivanti dalla fornitura dei servizi digitali indicati al comma 37 dell’art. 1, mentre vengono individuati come soggetti passivi le imprese che a livello di gruppo realizzino 750 milioni di ricavi ovunque generati e 5,5 milioni di ricavi digitali generati in Italia.

La disciplina italiana dà luogo ad alcuni problemi interpretativi per quel che concerne la determinazione della base imponibile dell’imposta. In particolare, il comma 40-ter stabilisce che “il totale dei ricavi tassabili è il prodotto della totalità dei ricavi derivanti dai servizi digitali ovunque realizzati per la percentuale rappresentativa della parte di tali servizi collegata al territorio dello Stato”.

Parafrasando la norma, i ricavi tassabili in Italia vanno calcolati determinando la percentuale rappresentativa dei servizi digitali realizzati in Italia rispetto a quelli ovunque realizzati e moltiplicando siffatta proporzione per i ricavi derivanti dai servizi digitali ovunque resi.

Il problema interpretativo riguarda i servizi consistenti nella messa a disposizione di un’interfaccia digitale che consente agli utenti di interagire anche al fine di facilitare la fornitura diretta di beni e servizi, per i quali la Dst detta una regola speciale, stabilendo che tale percentuale vada calcolata come proporzione delle operazioni di consegna di beni o prestazioni di servizi per le quali almeno uno degli utenti dell’interfaccia è localizzato nel territorio dello Stato (comma 40-ter).

Un chiarimento deve essere fornito, allora, riguardo alla transazione rilevante per la determinazione della percentuale rappresentativa, atteso che l’una norma parla di servizio digitale mentre l’altra fa riferimento alle operazioni. In questo senso, sembrerebbe opportuno individuare come elemento costitutivo non il servizio digitale reso dall’interfaccia digitale a ciascun utente bensì le operazioni realizzate tra gli utenti attraverso la piattaforma, giacché il comma 40-ter ricomprende tra le operazioni rilevanti anche la consegna di beni, la quale certamente si pone al di fuori del servizio di mera messa a disposizione di un’interfaccia digitale.

Nonostante tale lettura appaia coerente con il dettato normativo, è evidente il rischio di doppia imposizione che essa determina. Si prenda in considerazione l’ipotesi di uno scambio di beni realizzato attraverso una piattaforma tra un utente localizzato in Italia e uno localizzato in Francia. In presenza di analoghi criteri impositivi dettati dalla digital services tax francese, la stessa operazione assumerà rilievo sia ai fini della determinazione della base imponibile della Dst italiana sia di quella francese.

Tuttavia, è bene sottolineare che, nonostante non sia ancora stata emanata una circolare esplicativa del contenuto della Dst italiana, l’Agenzia delle Entrate sembra in questa fase volersi attenere, nell’interpretazione della disciplina, e per quanto sia possibile, alle indicazioni di matrice europea. La normativa comunitaria, infatti, considera misure volte ad evitare doppie imposizioni. Difatti, la Relazione allegata alla proposta di Direttiva UE COM(2018)148 chiarisce che la percentuale rappresentativa debba essere determinata in proporzione al numero di utenti che hanno concluso operazioni corrispondenti sull’interfaccia, a prescindere dal fatto che gli utenti siano i venditori o gli acquirenti dei corrispondenti beni o servizi, giacché entrambi generano valore per l’interfaccia digitale multilaterale mediante la loro partecipazione, dato che il ruolo dell’interfaccia è di fare coincidere l’offerta e la domanda.

La Relazione sembrerebbe quindi propendere per un’interpretazione che dia rilievo al servizio consistente nella messa a disposizione dell’interfaccia per ciascun utente della stessa ai fini della determinazione della percentuale rappresentativa. A differenza della soluzione prospettata sopra, questa seconda lettura della norma, garantirebbe di evitare fenomeni di doppia imposizione. Tornando all’esempio sopra riportato, infatti, il riparto della potestà impositiva avverrebbe allocando le fees pagate dall’utente francese per l’utilizzazione della piattaforma alla Francia e quelle pagate dall’user italiano all’Italia.

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