L'INTERVENTO

Il numero uno di Sky Jeremy Darroch: “È ora di aggiornare le regole di Internet”

La direttiva sull’e-commerce ha sostenuto la crescita dell’online. Ma l’ascesa dei social media e il ruolo di Internet in una società democratica richiede l’introduzione di un sistema proporzionato ai fini della individuazione della responsabilità per consentire alle aziende di continuare a crescere

Pubblicato il 21 Nov 2019

Jeremy Darroch

Ceo Sky Group

Jeremy Darroch
Jeremy Darroch

In esclusiva nazionale, CorCom pubblica l’intervento di Jeremy Darroch, ceo di Sky Group sulla necessità di aggiornare le regole di Internet. Ecco il testo

Il  crescente dibattito sul futuro di Internet e sull’influenza delle potenti società tecnologiche che sta convergento attorno all’imminente Digital Services Act darà forma al modo in cui tratteremo il mondo online per i decenni a venire.

All’inizio del millennio, prima che Internet diventasse una parte così integrante della nostra vita, i legislatori di Bruxelles hanno adottato una importante normativa: la direttiva sul commercio elettronico. È stata progettata per consentire ai cittadini e alle imprese di raccogliere i frutti del nuovo ed eccitante mondo online, ha supportato la crescita di Internet consentendo a nuovi modelli di business, come i social media, di affermarsi in modo quasi libertario, con una supervisione normativa limitata.

L’Europa ha in quel momento deciso che gran parte del mondo online dovesse essere libero dai vincoli del mondo fisico. Ha deciso che le aziende Internet che forniscono molti dei servizi su cui i consumatori hanno fatto affidamento per accedere e condividere contenuti online, non dovessero essere ritenute legalmente responsabili (o responsabili in solido) del contenuto e delle attività generate dai loro utenti. Questo è successo molto prima che qualcuno si preoccupasse che Internet potesse diventare un forum per estremismo, per la pubblicazione di materiali sugli abusi sessuali sui minori, notizie false o manipolazione politica. Grazie all’esperienza, ora vediamo i danni della rete per quello che sono e i nascenti modelli di business di 20 anni fa sono diventati, oggi, operatori consolidati altamente redditizi, che non necessitano di alcuna protezione speciale.

Ai sensi della direttiva sul commercio elettronico, le reti di social media utilizzate per condividere i contenuti generati dagli utenti sono classificate come “host” e beneficiano di una generale mancanza di norme specifiche sulla responsabilità e, come i fornitori di banda larga, non sono ritenute responsabili. A differenza di un fornitore di banda larga, tuttavia, la maggior parte delle aziende di social media gestisce i contenuti pubblicati sui propri siti. Queste aziende creano valore controllando le interazioni tra fornitori, utenti o consumatori di contenuti e inserzionisti. Generano importanti entrate vendendo pubblicità sul contenuto pubblicato dagli utenti. Per massimizzare questa fonte di reddito, selezionano, ordinano e raccomandano i contenuti utilizzando sofisticati algoritmi proprietari (di cui si sa poco) pur non avendo alcuna responsabilità per i contenuti dannosi che sfruttano commercialmente.

Per le società Internet che dichiarano semplicemente di “ospitare” i contenuti, la responsabilità può sorgere solo se conoscono o sono consapevoli dell’attività o delle informazioni illegali e non riescono ad agire “rapidamente” nel rimuoverli. E queste aziende non sono tenute a monitorare o cercare attivamente attività illegali. In confronto, un broadcaster come Sky è legalmente responsabile del contenuto che i nostri clienti vedono sui nostri canali. Le nostre licenze di trasmissione implicano il rispetto dei codici di trasmissione controllati da un regolatore. Il contenuto illegale è proibito e gli standard editoriali sono rigorosamente controllati – Sky News deve chiaramente vietare a terzi di imprecare in diretta prima delle 21 per paura di violare il codice delle trasmissioni. La sanzione massima per la violazione del codice è l’interruzione delle trasmissioni dei canali.

Dal nostro punto di vista sia come broadcaster che come fornitore di banda larga, la differenza tra le attività delle aziende di social media e il modo in cui un broadcaster raccoglie i contenuti che vedi è sempre più impercettibile, e non è comparabile al modo in cui una rete a banda larga fornisce accesso fisico all’autostrada Internet. Oggi, i cittadini e i governi europei stanno implorando queste aziende di social media, molte delle quali sono nomi familiari e giganti globali, di essere consapevoli di ciò che sta accadendo sui loro siti e di agire prontamente per mantenere le persone e le nostre democrazie al sicuro da contenuti terroristici, discorsi di incitamento all’odio, materiale sugli abusi sessuali sui minori e altri contenuti illegali e dannosi online.

Allo stesso tempo, a causa del modo in cui la direttiva sul commercio elettronico tratta la responsabilità, le aziende di social media non sono incentivate ad agire per proteggere la società dai danni causati da contenuti illegali online. Poiché essere consapevoli dei contenuti illeciti può comportare esserne responsabili, è meglio affermare di non sapere. E in assenza di regole trasparenti e obiettive che disciplinano l’identificazione e la rimozione di tali contenuti, stanno creando codici di condotta elaborati, controllati solo da loro stesse, che si sono dimostrati di volta in volta insufficienti per prevenire gravi danni. L’autoregolamentazione chiaramente non ha funzionato.

La frustrazione per le norme Ue che disciplinano le aziende Internet ha portato i governi nazionali a intervenire e fare ciò che la direttiva sul commercio elettronico non è riuscita a fare. In Germania il Network Enforcement Act impone ai social media di rimuovere i discorsi che incitano all’odio entro 24 ore, così come in Francia, e il governo del Regno Unito sta discutendo una legge omnicomprensiva sui danni dell’online per regolare il modo in cui le aziende di social media affrontano tutti i tipi di contenuti dannosi. C’è ormai un’aspettativa diffusa in tutta Europa che queste aziende globali, che ricavano ingenti somme di denaro dal contenuto che gestiscono, debbano essere ritenute responsabili di ciò che pubblicano e soggette ad una corretta supervisione e accountability. Sono necessarie riforme e aggiornamenti delle norme sulla responsabilità delle aziende di social media per garantire che il diritto europeo rifletta adeguatamente le preoccupazioni pubbliche e quelle della politica e che mantenga l’integrità del Mercato Unico. Tale riforma dovrebbe basarsi su alcuni principi chiari:

Ii social media le cui attività comportano la raccolta, la catalogazione e la pubblicazione di contenuti online e che generano ricavi, dovrebbero essere definite chiaramente come qualcosa di più che semplicemente “host”.

I danni dell’online devono essere chiaramente definiti e misurati correttamente in modo che la normativa venga applicata laddove è più necessaria. Ciò significa differenziare tra le startup più piccole e i modelli di business innovativi e le aziende globali si social media.

Piuttosto che concedere un esonero di responsabilità basato sull’ignoranza riguardo alle attività illegali, tale esonero dovrebbe invece essere concesso solo alle aziende che si assumono la responsabilità di scoprire e rimuovere i contenuti dannosi. Il mancato rispetto di standard oggettivi e misurabili, supervisionati da un giudice terzo dovrebbe implicare una responsabilità.

Poiché i contenuti dannosi non rispettano i confini, gli Stati membri devono agire in modo coordinato per verificare il rispetto di queste regole. Nonostante la Brexit, è auspicabile che il Regno Unito possa partecipare a qualcosa che chiaramente condivide con la Ue.

Le proposte di modifica delle regole e degli obblighi che governano Internet sono spesso accolte da controversie e forti obiezioni. Esiste una lobby ben finanziata, ben collegata e forte pronta a parlare di minacce alla libertà di espressione di fronte ad ogni tentativo. Dobbiamo respingere le esagerazioni sul pericolo e dobbiamo invece evidenziare i rischi legati al non fare nulla.

I principi qui esposti non sono per niente radicali. Porterebbero un’adeguata parità normativa tra i mondi dei media online e offline convergenti in cui vi è un’incoerenza confusa e pericolosa riguardo alle garanzie esistenti per proteggere i consumatori. Senza cambiamenti, entrambi i settori soffriranno a danno dei cittadini, dell’economia e del patto sociale europeo. La normativa può essere applicata in modo proporzionale affinché non danneggi né le Pmi, né le start-up, né tantomeno i cittadini o la libertà di parola, ma in modo da stabilire piuttosto una base giuridica comune per le aziende Internet per continuare a crescere responsabilmente.

La direttiva sull’e-Commerce ha sostenuto la crescita di Internet. Le imprese innovative sono fiorite nel mondo online a beneficio di milioni di persone. Tuttavia, Internet si è sviluppato in modo imprevisto nei due decenni dopo l’approvazione della direttiva. L’ascesa dei social media e il ruolo di Internet in una società democratica richiede l’introduzione di un sistema che sia proporzionato ai fini della individuazione della responsabilità e che consentirà alle aziende Internet di continuare a crescere, ma in modo responsabile a livello sociale. Questo è l’obietttivo che deve raggiungere il Digital Services Act

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