TURISMO

Affitti brevi, Celani: “Servono regole che non strozzino le imprese”

L’Ad di Italianway e delegato dei player dello short term condivide la volontà di mettere mano al settore ma avverte: “E’ necessario far convergere diritti e interessi in modo equilibrato, semplificando le norme e aumentando i controlli”

Pubblicato il 20 Feb 2020

F. Me

celani

Regolamentare il settore degli affitti brevi ma senza limitare la libertà di impresa. L’appello arriva da Marco Celani, Ad di Italianway e portavoce di Italia Startup nonché delegato dai top player italiani dello short term a portare avanti il dialogo con le istituzioni, in vista dell’approvazione del Collegato alla legge di stabilità dove è prevista una stretta su Airbnb & co.

“La percezione è che si stia inscenando un processo ad un settore ancora giovane, che sta cercando di strutturarsi e di professionalizzarsi – evidenzia Celani – Mettere una casa online non richiede particolari barriere all’ingresso, e questo ha fatto sì che, soprattutto nelle città più turistiche, in molti si siano improvvisati imprenditori del turismo. Certo, le regole regionali, incerte, frammentarie, orfane di precisi controlli facilitano il sommerso e consentono ad operatori faciloni di vendere notti a tariffe che non remunerano il capitale e nemmeno il lavoro, arrecando danno ai colleghi seri e professionali e agli albergatori”.

In Italia sono promosse online circa 430mila case, tra Airbnb, Booking .com, Expedia, Homeaway, italianway.house e altri portali. Stimiamo circa 300mila proprietari, di cui oltre 220mila gestori diretti. I property manager, più o meno professionali, sono stimati tra i 20 e i 30mila, molti dei quali gestiscono meno di 20 appartamenti. Una manciata di società gestisce più di 100 appartamenti, meno di 20 oltre i 400. Secondo un documento presentato in Commissione Attività produttive, commercio e turismo della Camera venerdì scorso, il settore ha ospitato nel 2019 almeno 12 milioni di turisti, prodotto almeno 3 miliardi di valore (atteso un valore della cedolare secca calcolato in 660 milioni).

“Nell’analisi dei pro e contro degli affitti brevi tutti i giornali danno larga voce in capitolo alle voci contro e pochissimo spazio agli operatori virtuosi. Proviamo a capire – sottolinea – Per gli albergatori le case vacanze sono il nemico, coloro che competono con tariffe basse e regole diverse. Sbagliano. I viaggiatori hanno cambiato abitudini di acquisto. Quando viaggiano in famiglia desiderano spazi più ampi, così come quando vanno al mare o in montagna, mentre quando si viaggia per periodi brevi o cambiando spesso città si preferiscono gli hotel. I due settori sono complementari”. Come hanno ben capito le grandi catene estere che sono entrate nel settore extra alberghiero.

Altri oppositori storici degli affitti brevi sono le organizzazioni di inquilini che reputano questa modalità una delle cause dell’aumento dei canoni di locazione. “Anche qui bisogna fare ordine. Gli affitti brevi non rendono più del 4+4, anzi – spuega Celani – Con gli affitti brevi i canoni sono soggetti alla variabilità del mercato e, in molte piazze, le tariffe sono in diminuzione. Con gli affitti brevi i proprietari pagano le utenze, il condominio e le manutenzioni ordinarie e straordinarie che nel 4+4 sono a carico dei conduttori. Spesso le società di gestione, i property manager, lavorano a commissione, lasciando il rischio di scarso riempimento e di stagionalità in carico agli stessi proprietari”.

E allora perché questa gestione ha tanto successo? “Qualunque proprietario abbia patito la situazione di un inquilino moroso non ripeterà mai più l’esperienza. Molti appartamenti rimangono sfitti piuttosto che tornare in quella modalità di locazione – evidenzia – Se il Governo avesse la volontà politica di velocizzare gli sfratti e farsi carico delle perdite sofferte dai proprietari colpiti gli affitti brevi quasi sparirebbero”.

C’è poi la posizione dei sindaci che denuncia il problema della gentrification ovvero l’abbandono dei centri storici con conseguente rimodulazione dei centri cittadini sulle esigenze dei turisti.

“La modernità comporta una fase di comprensione di quello che sta succedendo, analisi piuttosto che rigetto aprioristico- avverte – L’Italia è un paese vecchio, con tante case e pochi giovani, in cui due sole città vedono aumentare i residenti, Milano e Bologna, mentre tutti gli altri centri si svuotano. Il Paese produce sempre meno e sempre meno persone lavorano. Il turismo è una risorsa. Una risorsa che, declinato nel settore extra alberghiero, consente di ristrutturare patrimonio immobiliare abbandonato e attirare turisti dove prima non arrivavano. Riempire centri che si stanno svuotando. Far lavorare giovani che altrimenti emigrerebbero. Far diventare imprenditori persone di mezza età che si reinventano una professione. Si può decidere di capire questa risorsa o affossarla”.

Per questo il manager auspica un dialogo proficuo con le Istituzioni “cercando di far convergere diritti e interessi in modo equilibrato, auspicabilmente, semplificando le regole e aumentando i controlli. Meno gestori abusivi e più operatori professionali potrebbero guidare un mercato che può contribuire in modo rilevante allo sviluppo di cui l’Italia ha un estremo bisogno”.

Cosa prevedono le nuove norme su Airbnb & co.

La norma a cui sta lavorando il Mibact si stabilisce che, nel caso in cui si affittino più di tre immobili, questa vada considerata “attività imprenditoriale” con gli obblighi che ne conseguono in base al Codice civile. La norma, inoltre, fissa in meno di 30 giorni la durata dell’affitto per essere considerato “breve”.

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La norma si applica – qui il riferimento a società come Airbnb – “anche ai contratti stipulati tramite soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, oppure soggetti che gestiscono portali telematici, mettendo in contatto persone in cerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da condurre in locazione”.

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