L'ANALISI

Lobbying, la potenza di fuoco delle Big tech: 100 milioni di euro per “influenzare” l’Europa

È quanto emerge da un report del Corporate Europe Observatory e Lobbycontrol. Dai giganti della Silicon Valley alle star di Shenzhen, le “pressioni” sono enormi in particolare riguardo al tema regolatorio. Il 32% delle risorse sul piatto da appena dieci aziende. Il docente dell’Imperial College Tommaso Valletti: “Le istituzioni UE devono affrontare urgentemente la questione”

Pubblicato il 31 Ago 2021

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Una potenza di fuoco, in grado di “influenzare” – per non dire “alterare” – le istituzioni europee nell’ambito delle proposte regolatorie in discussione in particolare su fronte del Digital market. È un quadro allarmante quello messo nero su bianco nel report “The Lobby Network- Big tech’s web of influence in the Eu” (SCARICA QUI IL DOCUMENTO), a firma del Corporate Europe Observatory e Lobbycontrol. “Per la prima volta, mappiamo l’universo di attori che esercitano pressioni sull’economia digitale dell’Ue, dai giganti della Silicon Valley ai contendenti di Shenzhen, dalle aziende create online a quelle che realizzano l’infrastruttura che fa funzionare Internet, dai giganti della tecnologia ai nuovi arrivati”, si legge nella presentazione del documento secondo cui lo scenario che ne esce è “profondamente squilibrato”.

Ammontano a 612 le aziende, gruppi e associazioni di imprese che esercitano pressioni sulle politiche dell’economia digitale dell’Ue per una spesa complessiva annuale di oltre 97 milioni di euro con l’obiettuvo di fare “pressione” sulle istituzioni dell’Ue. “Ciò rende la tecnologia il più grande settore di lobby dell’Ue davanti a farmaceutico, combustibili fossili, finanza e chimica”.

Nonostante il numero elevato di player, l’universo è dominato da una manciata di aziende. Dieci cubano da sole un terzo della spesa totale delle lobby tecnologiche. Vodafone, Qualcomm, Intel, Ibm, Amazon, Huawei, Apple, Microsoft, Facebook e Google spendono più di 32 milioni di euro per far sentire la propria voce nell’Ue. Il 20% dei colossi della lobby ha sede negli Stati Uniti, meno dell’1% ha sedi in Cina o a Hong Kong.

Oltre alle pressioni individuali molte aziende si sono organizzate in associazioni imprenditoriali e commerciali, anch’essi importanti attori di lobby. “Gli enormi budget per le lobby di Big Tech hanno un impatto significativo sui decisori politici dell’UE: regolarmente lobbisti digitali bussano alla loro porta. “L’attività di lobbying sulle proposte per il pacchetto Digital Services e il tentativo dell’UE di frenare la Big Tech, fornisce l’esempio perfetto di come l’immenso budget delle aziende fornisca loro un accesso privilegiato: funzionari di alto livello della Commissione hanno tenuto 271 riunioni, il 75% delle quali con lobbisti del settore. Google e Facebook hanno guidato il gruppo”.

E la battaglia di lobby si è ora spostata al Parlamento europeo e al Consiglio e “iniziamo a vedere l’impronta lobbistica di Big Tech nelle capitali dell’UE come Tallinn, in Estonia”.

“Il potere economico e politico dei giganti digitali è enorme e non rimarranno passivi di fronte a possibili nuove regole che influiranno sul modo in cui conducono la loro attività -sottolinea Tommaso Valletti, ex capo economista della Direzione della concorrenza della Commissione europea e professore di economia all’Imperial College-. Ecco perché le istituzioni dell’UE hanno urgente bisogno di cambiare il modo in cui gestiscono questo lobbismo e limitano il potere della grande tecnologia”.

Il lobbismo delle Big Tech si basa anche sul finanziamento di un’ampia rete di terze parti, tra cui think tank, associazioni di Pmi e startup e consulenze legali ed economiche. Ci sono 14 think tank e Ong che hanno stretti legami con le aziende Big Tech – evidenzia il report. “L’etica e la pratica di queste organizzazioni politiche variano, ma alcune sembrano aver svolto un ruolo particolarmente attivo nelle discussioni sul pacchetto dei servizi digitali, ospitando dibattiti esclusivi o distorti per conto dei loro finanziatori o pubblicando rapporti allarmistici”.

Secondo quanto emerge dal report l’aspetto più preoccupante è l’opacità: “Le grandi aziende tecnologiche hanno avuto scarsi risultati nel dichiarare il loro finanziamento a gruppi di riflessione, per lo più divulgando questi collegamenti solo dopo aver subito pressioni. A ciò si aggiunge il finanziamento di associazioni di Pmi e startup e il fatto che anche gli esperti di diritto ed economia assunti dalle Big Tech partecipino alle discussioni politiche”.

Secondo gli analisti “il potere del settore digitale dovrebbe essere un campanello d’allarme per mettere in atto una regolamentazione delle lobby più rigorosa sia a livello dell’UE che degli Stati membri e per assicurarsi che vengano creati nuovi strumenti per limitare il potere delle società che altrimenti lo userebbero per modellare la legislazione secondo i propri interessi”.

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