IL CASO

Cina-Usa, il delisting a Wall Street costa caro alle big telco cinesi

La decisione di depennare alcune società per presunta affiliazione militare fa sentire i suoi primi effetti: calo sino al 5% sulla piazza di Hong Kong. Intanto gli Stati Uniti vengono accusati di abuso dei criteri della sicurezza nazionale, ma la speranza è che l’ingresso di Biden aiuti a ridistendere i rapporti

Pubblicato il 04 Gen 2021

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Il recente annuncio della Borsa di New York di voler procedere con il delisting di tre telco cinesi è destinato a lasciare il segno: mentre Pechino accusa gli Stati Uniti di abuso dei criteri della sicurezza nazionale e annuncia di voler adottare “le misure necessarie” per salvaguardare gli interessi delle sue società, le aziende nel mirino hanno subito un pesante declino a Hong Kong, sull’ordine del 5%. Secondo il ministero del Commercio del Paese, il provvedimento sarebbe “in contraddizione con le regole del mercato e avrà l’effetto di indebolire la fiducia di tutte le parti nel mercato dei capitali statunitense”.

Le aziende accusate di affiliazione militare comunista

Al centro della vicenda sono le imprese China Telecom Corporation, China Mobile e China Unicom (Hong Kong), che Washington ha classificato come “aziende militari cinesi comuniste”. Contro di esse è entrato in vigore un ordine dimesso a novembre dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il quale vietava espressamente investimenti americani in società cinesi possedute o controllate dai militari (nel tentativo di fare pressione su Pechino su quelle che considera pratiche commerciali abusive). Il delisting, in ogni caso, è più un colpo simbolico che concreto, dal momento che le società sono scarsamente scambiate al Nyse: il provvedimento si inserisce piuttosto nel quadro di un accresciuto attrito geopolitico tra le due maggiori economie del mondo.

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L’accusa di affiliazione militare è stata comunque rispedita al mittente dal Ministro del Commercio, secondo cui la mossa americana non solo danneggerà i diritti e gli interessi legittimi delle imprese cinesi, ma anche gli interessi degli investitori di altri Paesi, compresi gli stessi Stati Uniti. “Questo tipo di abuso della sicurezza nazionale e del potere statale per sopprimere le imprese cinesi non è conforme alle regole del mercato e viola la logica del mercato”, ha affermato in un comunicato. Nell’occasione, ha anche invitato gli Stati Uniti a rimettere in carreggiata le relazioni commerciali bilaterali.

I primi effetti: crollo a Hong Kong

Il delisting delle tre imprese, intanto, fa sentire i suoi effetti. A seguito dell’operazione, le società di telecomunicazioni statali cinesi hanno subito un declino a Hong Kong. Le azioni di China Mobile, la più grande delle tre, sono scese lunedì del 4,5%, sino al ​​livello più basso dal 2006, mentre China Telecom è scesa del 5,6%. Le due hanno registrato le loro maggiori perdite infragiornaliere da metà novembre. China Unicom Hong Kong ha invece ceduto il 3,8%.
Secondo il Nyse, le ricevute di deposito americane delle tre società saranno sospese dalle negoziazioni tra il 7 e l’11 gennaio, e il processo di cancellazione è iniziato. Anche le major petrolifere cinesi, tra cui Cnooc, sono ora preoccupate di essere successivamente prese di mira per delisting negli Stati Uniti.

Speranze di riapertura con Biden

Nelle ultime settimane prima dell’entrata in carica del presidente eletto Joe Biden il 20 gennaio, l’amministrazione Trump ha rafforzato la sua linea dura contro la Cina. Le relazioni tra le due maggiori economie sono state messe a dura prova da una serie di controversie su questioni come il commercio e i diritti umani. Il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha aggiunto dozzine di aziende cinesi a una black list commerciale, accusando Pechino di utilizzare le sue società per sfruttare le tecnologie civili per scopi militari. I diplomatici cinesi hanno espresso la speranza che l’elezione di Biden aiuti ad allentare le tensioni tra i due Paesi. A tal proposito, l’alto diplomatico cinese Wang Yi ha affermato nei giorni scorsi che le relazioni con gli Stati Uniti hanno raggiunto un “nuovo bivio” e che ora potrebbe essere aperta “una nuova finestra di speranza”.

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