INNOVAZIONE

Fabbrica 4.0, si apre l’era dei cobot “salva-occupazione”

I robot flessibili che aumentano la produttività senza ridurre il lavoro “umano” stanno mandando in pensione i sistemi automatizzati tradizionali. Sugli scudi il settore dell’assemblaggio industriale. Lo scenario disegnato dal World Economic Forum

Pubblicato il 08 Nov 2019

Antonio Dini

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Dei robot industriali che sono piccoli, carini e giocosi. Ma non bisogna lasciarsi ingannare. Hanno il potenziale per rivoluzionare il modo in cui funzionano le nostre fabbriche e affiancare – non sostituire – i lavoratori, aumentando la produttività e creando anche nuove opportunità di occupazione. E se proprio ruberanno il lavoro a qualcuno, non sarà agli operati ma alle macchine di vecchia generazione, ai robot industriali tradizionali, troppo costosi e poco flessibili.
Il segreto sta nella comprensione di come funzionano le fabbriche moderne, inserite in processi di competizione sempre più serrati che richiedono il massimo grado di flessibilità. Una flessibilità che i robot industriali tradizionali non solo non forniscono, ma anzi sostanzialmente ostacolano richiedendo lunghi studi per arrivare a realizzare progetti in cui il ruolo dei robot si cristallizza su determinati binari e modalità produttive che non possono essere facilmente cambiate.

Ecco che la tecnologia, che nella prima fase di automazione ha spostato l’ago della bilancia verso una “automazione selvaggia”, fatta con macchinari estremamente costosi ma poco flessibili, adesso sfrutta la maggiore capacità dei robot contemporanei per andare nella direzione opposta. La parola d’ordine insomma diventa flessibilità, sia per quanto riguarda i processi produttivi che le modalità di impiego.

Le nuove generazioni di cobot, che hanno ereditato nuove tecnologie collaborative, da cui il nome di “collaborative robot” o in breve “cobot”, sono capaci di muoversi liberamente nella fabbrica e non solo nelle aree designate, potendo operare in modo sicuro accanto agli esseri umani, con l’obiettivo non di sostituire le attività dei lavoratori ma di assisterli e di sollevarli dai compiti più ripetitivi e semplici. Degli assistenti, insomma, che con il tempo imparano sempre di più e riescono a lavorare in contesti complessi con modalità altamente flessibili e customizzabili.

Secondo gli studi che sono stati fatti su questo tipo di tecnologia, di cui si assiste in questi ultimi tempi alla introduzione in dei progetti pilota in varie fabbriche nel mondo, i cobot hanno un ruolo critico nel permettere di aumentare la produttività in contesti altamente competitivi e flessibili, che devono potersi riorganizzare rapidamente per rispondere alle esigenze produttive legate a stagionalità o cambi di orientamento del mercato. Inoltre, i cobot possono dare man forte alla forza lavoro anziché sostituirsi ad essa, generando però quella maggiorazione di output tale da “pagarsi lo stipendio” e addirittura generare opportunità di creare nuovi posti di lavoro in ambito software per la loro programmazione, addestramento e gestione.

Uno degli ambiti in cui i cobot possono avere uno sviluppo importante è il settore dell’assemblaggio industriale, dove vengono cioè prese le differenti parti che compongono un prodotto finito e messe assieme. In questo tipo di processo manifatturiero solo gli esseri umani riescono a gestire il 90% delle attività, ma in futuro i cobot potranno lavorare a fianco degli esseri umani per snellire e accelerare le catene di assemblaggio, lasciando ai lavoratori attività meno ripetitive e di finalizzazione e controllo qualità.
Chi rischia invece di perdere il posto di lavoro sono i robot industriali tradizionali, in alcuni casi molto costosi e ancora da ammortizzare. Proprio gli elevati costi, l’alta complessità, i lunghi tempi di sviluppo e installazione oltre alla rigidità operativa sono quelli che fanno più temere per il futuro dei sistemi di automazione tradizionali degli impianti, che potrebbero essere in parte sostituiti dai cobot, proprio grazie al fattore di forma, alla facilità di configurazione e alla versatilità di impiego.

Soprattutto, sono gli skill “sociali” di questi robot, cioè la progettazione come apparecchi pensati da subito per collaborare con i lavoratori anziché sostituirli, la loro vera arma segreta che, secondo alcuni esperti, ne potrebbe decretare il successo.

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