L'INTERVISTA

Avenia: “Il digitale è strategico. Speriamo che l’Italia abbia imparato la lezione”

Il presidente di Confindustria Digitale: “Lo smart working non è quello che stiamo vivendo, ma molto di più in termini di efficienza operativa. Le resistenze culturali, soprattutto nella PA, restano elevate. Le fake news sul 5G roba da Medioevo. Ma il nuovo cammino è tracciato e ora bisogna accelerare su reti e servizi innovativi”

Pubblicato il 22 Apr 2020

avenia

La ripresa sarà lenta e quanto tempo ci vorrà non lo sappiamo ancora. Ma quel che conta è che si sia imparata una lezione fondamentale: il digitale è più che strategico per il Paese e non si può e non si deve tornare indietro. Altrimenti sì che l’esito sarebbe drammatico”: Cesare Avenia, presidente di Confindustria Digitale prova a fare un primo punto a due mesi di lockdown e a tracciare la strada futura.

“Se il Paese avesse colto anni fa l’importanza della trasformazione digitale, ci sarebbero state condizioni per gestire molto meglio questa situazione. Certo, si tratta di una situazione eccezionale ed era del tutto imprevedibile. Me è evidente che le aziende che si erano già messe al passo stanno affrontando il presente con meno difficoltà sul fronte operativo”.

Avenia, molte aziende stanno lavorando in smart working e anche la PA in qualche modo si sta dando da fare. Si aspettava questa “resilienza”?

Parliamoci chiaro: si tratta di una gestione in emergenza, con servizi, in particolare quelli della Pubblica amministrazione erogati in modalità digitale per le situazioni più urgenti. Ma è evidente che la macchina non è rodata per una situazione a regime. Quando ero Ad di Ericsson, già nel 2005-2006 sperimentavamo quello che allora si chiamava telelavoro, una modalità che coinvolse all’epoca il 15% del personale. Era una vera e propria rivoluzione e il progetto nacque non per fronteggiare criticità ma anzi per il benessere dell’azienda e una maggiore efficienza dei lavoratori. L’obiettivo, nobile, era in primis quello della sostenibilità ambientale, e molte aziende sono partite così, comprendendo poi con il tempo che lo smart working è molto di più: è efficientamento complessivo dei processi produttivi, è miglioramento dello stile di vita delle persone, è maggior coinvolgimento dei dipendenti. E fra i principali benefici c’è, a dispetto di quanto si possa comunemente pensare, la responsabilizzazione di tutta la catena che porta a maggior motivazione dei lavoratori, i quali si sentono molto più riconosciuti nel perseguimento dei propri obiettivi. Ma sto parlando di uno smart working virtuoso, non della situazione “arrangiata” che si sta vivendo adesso.

La PA dunque no ce la farà a fare il grande salto?

Le difficoltà sono sicuramente maggiori, basti pensare allo scarso utilizzo del cloud – solo di recente si sono accesi i riflettori su questa infrastruttura tecnologica – e quindi all’impossibilità di gestire da remoto tutta una serie di attività. Molte delle pratiche vengono ancora evase con allegati via e-mail, scambi di centinaia di messaggi dovuti alla mancanza di repository centralizzati. E peraltro in questo momento non siamo in grado di capire cosa stia o non stia funzionando, quanti siano i dipendenti effettivamente operativi e con quale capacità in termini di efficienza. Certamente tutti si sono rimboccati le maniche ma i nodi sono venuti al pettine e ci si augura che la lezione sia stata compresa e che si acceleri sull’adozione del cloud e più in generale della “modalità” digitale. E che ci sia sempre meno resistenza all’innovazione.

Assisteremo a un taglio degli adempimenti burocratici? Sul fronte della posa delle reti ultrabroadband ad esempio?

Il tema della burocrazia è molto più complesso perché interseca in maniera- mi lasci dire “violenta” – con l’ignoranza. L’esplosione di fake news, ad esempio sul 5G, sta addirittura dando una mano alle resistenze burocratiche. È stupefacente assistere, proprio in questa drammatica situazione, alla negazione di autorizzazioni da parte di sindaci, all’installazione delle antenne. La connettività ci ha aiutato ad affrontare questa drammatica situazione e cosa si fa? Si ostacola la connettività. Una caccia alle streghe davvero da Medioevo. E purtroppo temo che questo retaggio ce lo porteremo dietro a lungo, ben oltre l’emergenza Coronavirus, e che si farà molta fatica.

Le aziende del digitale e quelle che hanno adottato il digitale in tempi non sospetti quanto saranno impattate dalla crisi?

È chiaro che in questo momento dobbiamo tenere ben presente che tutte le aziende saranno di fatto impattate. Ma le digital company e quelle che avevano colto i benefici e le opportunità della trasformazione digitale stanno vivendo meno e vivranno meno, per la natura del loro business, questo dramma. Reagiscono meglio sul fronte dei processi produttivi perché erano preparate. Ma per le piccole e medie aziende, anche quelle dell’Ict, il discorso è diverso. Gli aiuti che sono stati messi in piedi dal Governo sono positivi. Ma fra le Pmi ci sono quelle che, ad esempio, hanno colto le opportunità dei piani Industria e Impresa 4.0 digitale e quelle che invece sono molto indietro sul fronte della digitalizzazione. Ho accolto positivamente l’appello del Presidente di Assonime Innocenzo Cipolletta: bisogna affiancare all’iniezione di liquidità – che comporta comunque un aumento del debito – un’iniziativa, attraverso la costituzione di un fondo, che consenta la ricapitalizzazione delle aziende. Sarebbe un modo virtuoso per far sì che la situazione finanziaria sia sostenibile anche dopo la crisi.

Ci sarà un aumento del business per le aziende dell’Ict?

Le aziende del comparto non stanno affatto ottenendo benefici al momento. Stanno semplicemente tenendo meglio perché più predisposte e preparate. Ma sono e saranno ugualmente colpite da un calo del fatturato. Il decremento magari sarà inferiore rispetto ad altri comparti più tradizionali. Dalle prime stime si ha l’impressione che il calo del Pil nel primo semestre 2020 potrebbe essere del 15% e che il comparto digitale potrebbe lasciare sul terreno almeno 4-5%. Consideri poi che molte aziende dell’Ict sono intervenute a supporto del sistema Paese mettendo a disposizione gratuitamente piattaforme e servizi. Le  telco hanno aumentato la disponibilità di banda e Giga senza costi aggiuntivi per i clienti finali. Siamo il settore trainante e abbiamo sentito il dovere di metterci a disposizione del Paese per facilitare l’utilizzo delle piattaforme. C’è stata la gara fra tutti i nostri associati, ad esempio, sul fronte della didattica online. Quanti insegnanti erano pronti? Quanti ragazzi hanno continuato a studiare perché erano dotati di pc e connessioni? Quel che il mondo dell’Ict ha donato speriamo possa tornare davvero utile a molti.

Dunque cosa si aspetta?

Come Confindustria Digitale continueremo ad alzare la voce. Non possiamo consentire un ritorno indietro. Bisogna assicurarsi che la lezione sia definitiva. E speriamo, quando un giorno ripenseremo a questa storia, di aver cambiato le cose in meglio.

Un’ultima domanda: cosa ne pensa delle task force? E quella a 74 membri della Pisano?

Abbiamo un ottimo rapporto con il ministero dell’Innovazione, con l’Agid e con il Governo. E la collaborazione è continua. Le task force ce le siamo inventate nelle aziende e quando servono servono. Non voglio unirmi al coro delle critiche, ma è chiaro che non si può inventare una task force al giorno. Bisogna avere la lucidità di capire quale è lo scopo e il risultato atteso. È l’output che conta. Il tema fondamentale è che bisogna avere la capacità – e sono convinto che sia possibile- di prendere le migliori persone per dare sostegno da un punto di vista scientifico-tecnico a chi deve prendere decisioni. Ma la “misura” nelle cose è sempre raccomandabile.

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