SCENARI

5G, proroga frequenze in standby: manca l’ok finale di Di Maio

Ancora nessuna comunicazione ufficiale da parte del Mise sulla finalizzazione della procedura per l’estensione delle licenze della banda 3,5 Ghz ai player wimax. In ballo l’accordo Fastweb-Tiscali. Nuovi ricorsi da parte delle telco

Pubblicato il 05 Nov 2018

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Proroga frequenze 5G, non c’è ancora l’ok definitivo di Luigi Di Maio. Rischia di diventare un nuovo caso Tap il dossier che vede in ballo Fastweb e Tiscali (strette da un preaccordo siglato a luglio scorso), le telco italiane – da Iliad a Vodafone – che stanno depositando ricorsi contro l’operazione, l’authority per le Comunicazioni e lo stesso ministero dello Sviluppo.

Al centro la proroga delle frequenze 3,5 Ghz avviata dal precedente governo e da Agcom a favore dei “player Wimax” e ora messa in discussione dai partecipanti all’asta 5G. Che avendo sborsato 4,3 miliardi per quelle stesse frequenze, fanno pressing sul governo rivendicando azioni in grado di massimizzare gli investimenti.

Ma il ministro dello Sviluppo economico non ha ancora firmato la comunicazione ufficiale, a quanto risulta a Corcom, necessaria per chiudere il dossier. La mancata finalizzazione potrebbe  mettere a rischio l’accordo Fastweb-Tiscali o aprire la porta a una serie di revisioni: come un eventuale ritocco al rialzo delle tariffe “scontate” concordate con i player per l’estensione dei diritti d’uso. O una gestione più diretta, da parte del Mise, della partita occupazionale delle aziende coinvolte. A questo riguardo è previsto per il 20 novembre un incontro al Mise con Tiscali e le rappresentanze sindacali (la presenza di Fastweb non è ancora stata assodata): secondo gli accordi finora sottoscritti Fastweb dovrebbe riassorbire circa 50 dipendenti Tiscali (oltre ai 34 previsti, altri 10 su Perugia).

La questione è complessa e coinvolge fronti economici e sindacali. In ballo una banda di frequenze particolarmente pregiata per il 5G, la 3,4-3,6Ghz: gli incassi stellari dell’asta sono dovuti proprio alla competizione accesissima che si è scatenata tra gli operatori per aggiudicarsi i 4 lotti battuti nella banda 3,4-36 Ghz che, da sola, ha fruttato allo Stato complessivamente 4,3 miliardi: due blocchi da 80 Mhz sono stati presi da Tim e Vodafone, mentre i due più piccoli, da 20 Mhz, sono andati a Wind e Iliad.

Ma attenzione: competizione accesa anche grazie al fatto che non tutta la banda era stata battuta all’asta. Una porzione era stata tenuta fuori perché, appunto, in mano a una serie di piccoli operatori – Aria (controllata da Tiscali), Linkem, Mandarin – oltre che da Tim, fino al 2023, che nel 2017 (ben prima della legge finanziaria 2018 che aveva disegnato l’asta 5G) ne avevano chiesto la proroga per altri 6 anni. Proroga orientativamente concessa a tutti, tranne che a Tim per motivi antitrust. Con la proroga scattano una serie di operazioni: a luglio Fastweb si accorda con Tiscali per entrare in possesso dei 40 Mhz “prorogati” fino al 2029 per 150 milioni. Un’operazione apparentemente win win: per Fastweb che in questo modo potrebbe assicurarsi un posto nella pregiata banda “pioniera” e concorrere all’asta senza svenarsi (si aggiudicherà un solo blocco nella banda millimetrica). Ma anche per Tiscali, società in allarme rosso, che dall’accordo con Fastweb può ricevere una boccata d’ossigeno e pensare di mettere al riparo almeno una parte dei propri 600 dipendenti, un concentrato di professionalità “pregiate” nel settore delle Tlc.

Ma l’operazione non va giù a tutti. A scoppio ritardato le telco si accorgono del vantaggio colto da Fastweb che per 150 milioni entra in possesso di frequenze adiacenti a quelle pagate a caro prezzo con l’asta. E minacciano ricorsi. Le prime crepe c’erano già state, come scritto da Corcom, nell’interrogazione presentata dal senatore 5 Stelle Elio Lannutti al ministro Di Maio: l’estensione dei diritti d’uso delle licenze in mano agli operatori “wimax” ha privato lo Stato, accusava l’interrogazione, di “un introito valutabile attorno ai 4 miliardi di euro”. Affermazione forte che però non tiene conto dei numerosi fattori alla base del meccanismo d’asta. Ora la palla è in mano a Di Maio. Spetterà a lui dirimere la questione.

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