TELEPERFORMANCE

Apollonj Ghetti: “Off shore leva per investire in Italia”

L’Ad di Teleperformance “Non delocalizziamo, ma le attività svolte
in altri paesi ci consentono marginalità tali da assicurare gli stipendi ai lavoratori dei call center italiani”

Pubblicato il 21 Mar 2014

Federica Meta

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Teleperformance intende continuare ad investire in Italia e sulle delocalizzazioni è scattato un falso allarme”. Lucio Apollonj Ghetti, Ad di Teleperformance in Italia, smorza i toni di una polemica che voleva il gruppo e in procinto di abbandonare il nostro paese.
Teleperformance resta in Italia e non delocalizza, dunque.
Sgombriamo il campo da fraintendimenti. Il gruppo, sia in Italia sia negli altri paesi dove opera, integra le attività sui territori con attività off shore, che consentono di rimanere attivi proprio laddove la marginalità è calata sensibilmente. Detto più semplicemente: le marginalità più alte registrate in off shore permettono di continuare ad investire in Italia, assicurando lo stipendio ai lavoratori di quei paesi. È una strategia che ha permesso a Teleperformance di regolarizzare dipendenti con 2mila contratti a tempo indeterminato su un totale di 3mila addetti e di applicare – poche altre aziende lo hanno fatto – la Circolare Damiano del 2007 anche ai lavoratori outbound, nonostante la normativa consentisse di mantenere tali risorse attraverso dei contratti a progetto. Una scelta coraggiosa e virtuosa che ha rappresentato un’importante scommessa ed investimento sul mercato italiano. Ma che senza l’off shore non avremmo potuto fare.
Sindacati e consumatori, però, puntano il dito anche sulle leggi a tutela dei dati personali che nei paesi extra Ue sarebbero più lasche. Come risponde?
Mi pare una polemica del tutto strumentale. Le aziende non fanno attività solo fuori dall’Unione europea, dove appunto secondo alcuni non ci sarebbero le necessarie tutele di legge, ma anche dentro: vedi la Romania, ad esempio. È vero, noi abbiamo delle attività in Albania che non è dentro la Ue, ma è da considerarsi un “paese candidato” e quindi sotto l’occhio vigile di Bruxelles, dove siamo in grado di assicurazione un alto livello di protezione dei dati dell’utente e un’alta qualità di servizio.
L’off shore però non sembra essere sufficiente a rilanciare il settore del call center. L’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano propone meccanismi per premiare le aziende che regolarizzano i dipendenti e sgravi fiscali. La convince la ricetta?
Bisogna capire cosa si intende per sgravi fiscali. Ricordo che i call center pagano l’Irap come altre aziende non essendo, però, assimilabili a chi possiede macchinari e capannoni, ad esempio, dato che noi abbiamo solo il personale. Il risultato è che la nostra Irap si scarica tutta sul fatturato in tempi, come ho già detto, in cui ricavi e marginalità sono in calo. Quindi noi un’Irap così pensata non dovremmo pagarla. Per quanto riguarda i premi per chi regolarizza, anche qui va fatto un discorso più ampio che investe il concetto stesso di flessibilità.
Chiedete più flessibilità?
Io direi che serve meno rigidità in un mercato in cui, spesso, le aziende committenti scaricano sull’outosurcing la flessibilità che loro non possono avere “in casa”. Il punto è che noi non siamo più flessibili per rispondere a quelle esigenze. Quello che servirebbe è una maggiore elasticità nell’uso dei contratti di lavoro a tempo indeterminato che potrebbero essere mixati con altri tipi per gestire in maniera più efficiente il calo dei volumi delle chiamate che, in questi anni, è sempre più evidente. È ovvio che se le aziende non possono fare ricorso a questa flessibilità abbassano i prezzi delle commesse e del costo del lavoro oppure spostano le attività.
Sta dicendo che c’è anche una responsabilità delle imprese di settore?
Le imprese hanno delle responsabilità. Prendiamo ad esempio le gare al massimo ribasso con delle basi d’asta al di sotto del costo dei contratti di categoria. Spesso il massimo ribasso non è richiesto dai committenti, ma è il prezzo offerto dalle imprese incapaci di tracciare una linea al di sotto della quale non si deve scendere, pena il vincere commesse in perdita. Teleperformance non ha mai permesso alle filiali di scendere al di sotto di un prezzo che non permette di remunerare correttamente il lavoro e di coprire i costi di struttura e gli investimenti nel lungo periodo.

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