At&t, spinta esterofila, c’è anche l’Asia nel mirino

Per la prima volta la telco statunitense pensa a un grosso piano di sviluppo oltreoceano. Si guarda ai mercati a più forte espansione, ossia Medio ed Estremo Oriente. Ma si punta a rafforzare anche il business europeo

Pubblicato il 18 Apr 2011

L’ex monopolio delle telecomunicazioni americano, At&t, si
prepara a recuperare una posizione di rilievo non solo sul mercato
mobile degli Stati Uniti, ma anche, almeno nelle intenzioni, su
quello internazionale. Se la sua proposta di acquisto di T-Mobile
Usa, per la quale ha offerto 3,9 miliardi di dollari, verrà
approvata dal regolatore, At&t tornerà infatti ad essere il
maggiore operatore mobile americano; allo stesso tempo, l’azienda
sta perseguendo una decisa strategia di espansione all’estero,
che potrebbe in teoria portarla a moltiplicare i suoi guadagni,
offrendo servizi telecom integrati alle grandi multinazionali. Oggi
At&t ha già 1.700 clienti tra cui General Motors, JP Morgan Chase,
Ibm e Royal Dutch Shell.

Visto che gli Stati Uniti stentano a riprendersi dalla crisi
finanziaria del 2008-9, il piano dei top manager di At&t è di
portare il business sui mercati in maggiore crescita: finora
l'Europa, ma in futuro sempre più Asia, Medio Oriente e
America Latina. “Abbiamo investito e innovato con decisione per
sviluppare nuove soluzioni per le multinazionali”, sottolinea
oggi sull’International Herald Tribune il presidente e Ceo di
At&t, Randall L. Stephenson. “E’ una strategia che ci ha
ripagato: in Europa l’anno scorso abbiamo ottenuto nuovi
contratti per 1 miliardo di dollarI”.

Dal 2007 At&t ha speso circa 4 miliardi di dollari per migliorare
la sua rete di cavi sottomarini e linee ottiche terrestri e
costruire data center in Gran Bretagna, Francia, Olanda e Germania.
All’inizio le multinazionali clienti erano aziende americane
attive all’estero, poi si sono aggiunti gruppi con sede in Europa
come Shell, la tedesca Linde o la britannica Smiths group.

Circa la metà delle vendite di At&t alle multinazionali riguardano
servizi standard come la trasmissione delle chiamate vocali,
l’instant messaging, l’e-mail, i dati e la teleconferenza. Il
resto deriva da servizi più avanzati, come sicurezza di rete,
monitoraggio remoto degli stabilimenti e delle attrezzature, cloud
computing, sviluppo di applicazioni software e vendita di
telefonini e tablet. At&t sottolinea di vendere anche software di
“unified communications” per collegare i diversi dipendenti e
partner di un’azienda senza spese aggiuntive come il roaming.

“La sfida per i nostri clienti è creare un’infrastruttura
integrata per le loro sedi, pur operando in Paesi diversi con
lingue e normative diverse. Il nostro compito è eliminare gli
elementi di attrito e far fluire gli affari senza ostacoli”,
afferma Roman P. Pacewicz, senior vice-president for marketing and
global strategy di At&t Business solutions, la divisione che serve
i clienti multinazionali. At&t infatti si avvale della sua rete
globale (1,4 milioni di km di cavi), ma negozia poi le tariffe per
voce e dati a livello locale con i diversi operatori, permettendo
ai suoi clienti di risparmiare.

Ad esempio, per lo Smiths group, con cui At&t ha firmato un
contratto del valore di 150 milioni di dollari e della durata di
sei anni, il colosso americano ha unificato tutta la rete di
comunicazione connettendo 23.550 dipendenti in 400 uffici in 50
Paesi. Prima di rivolgersi a At&t, Smiths (che produce tra
l’altro scanner per i bagagli in aeroporto, parti del jet
Eurofighter e attrezzature mediche) si avvaleva di centinaia di
carrier locali per i suoi servizi telecom, mentre oggi questi
servizi  sono unificati, centralizzati e anche meno costosi: il
gruppo britannico calcola risparmi di 50 milioni di dollari
l’anno per tutta la durata del contratto.

Con la crisi economica che spinge a tagliare i costi, molte aziende
si rivolgono a fornitori globali di servizi telecom, nota Martin
Burvill, capo delle global solutions for Emea di Verizon Business
systems, diretta concorrente di At&t. Ma è difficile stabilire
quanto At&t, o la stessa Verizon, profittino della crescente
espansione sui mercati esteri, perché nessuna delle due aziende
rivela i dati delle vendite e degli utili che derivano dal business
internazionale, inglobandoli invece nella cifra complessiva su
revenues e profitti. Burvill di Verizon dice solo che la sua
azienda ha raddoppiato le vendite in Europa negli ultimi cinque
anni, mentre John T. Stankey, direttore globale di At&t Business
systems, dice che le vendite di At&t alle aziende stanno crescendo
a un tasso annuale vicino al 10%, più rapido, secondo Stankey, di
quello registrato dalle rivali.

Ma per Sandra O’Boyle, analista ad Amsterdam per la società di
ricerche Current Analysis, la reticenza con cui At&t e Verizon
svelano i dati del loro business internazionale potrebbe essere un
segno che non è poi così redditizio: tra l’altro, le tariffe di
roaming in Europa sono ancora “molto alte” e la concorrenza di
colossi come Orange, Bt e T-Systems di Deutsche Telekom è forte.
Sui mercati emergenti, intanto, rivali locali come Tata
Communications in India si stanno muovendo aggressivamente per
fornire servizi di telecomunicazione alle multinazionali del loro
Paese. Come At&t per le aziende americane, Tata può far leva sul
suo esteso network indiano per proporre alle multinazionali indiane
offerte molto allettanti, anche nel prezzo, nota la O’Boyle.

Secondo l’analista, il business internazionale di At&t ha
rappresentato nel 2010 circa l’11% delle sue vendite annuali, o
14 miliardi di dollari: si tratta di un’attività importante, ma
l’acquisizione di T-Mobile Usa, che attende l’approvazione del
regolatore, potrebbe distrarre At&t dal focus sulle multinazionali,
aggiunge la O’Boyle. “Il rischio è che si concentrino invece
sul mercato mobile americano”, dice. Una scelta che potrebbe
rivelarsi costosa perché, con la fusione in atto tra tecnologie
mobili e computing, i colossi telecom come At&t e Verizon non sono
più gli unici a competere per servire le grandi aziende, ma
nell’arena entrano anche i giganti dell’informatica come Hp,
Ibm e Computer Sciences. Conclude la O’Boyle: “Il mercato si
sta allargando e l’ecosistema è destinato a trasformarsi,
lentamente, ma inesorabilmente”.

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