IL CASO

Equo compenso, le aziende dell’Ict pronte a fare ricorso

Lo annuncia il presidente di Confindustria digitale Stefano Parisi: “L’Italia ci ripensi, grave danno alla filiera della digital economy e si rischia di frenare l’Agenda digitale. Cesare Avenia (Asstel: “Tlc già in difficoltà e ora dovranno farsi carico del balzello per non impattare sui clienti”. Cristiano Radaelli (Anitec): “Impossibile fare copie private sull smart Tv, consumatori beffati”

Pubblicato il 20 Dic 2013

Mila Fiordalisi

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Sospensione per un massimo di 12 mesi del procedimento di revisione del decreto Bondi “per il quale non si ravvisa alcuna urgenza, considerato che rimane comunque in vigore la disciplina attuale”, attivazione del tavolo tecnico ex art 5 del Decreto Bondi (per le proposte di aggiornamento, partecipato dai rappresentanti Ict e mai convocato); riesame della materia nel rispetto delle raccomandazioni comunitarie, dell’evoluzione tecnologica e dei comportamenti dei consumatori: queste le proposte di Confindustria digitale per dire no all’aumento dell’equo compenso per la copia privata di contenuti acquistati legalmente. Ma soprattutto il mondo delle imprese si prepara a dare dura battaglia: “Le singole imprese sono pronte a fare ricorso al Tar e avranno tutto l’appoggio delle associazioni di categoria. Ma ci auguriamo che non si arrivi a questo punto”, annuncia il presidente di Confindustria Digitale Stefano Parisi. “Il Ministro Bray – sottolinea Parisi – ha espresso la volontà di aumentare del 500% l’importo che in Italia viene pagato per ogni dispositivo con memoria digitale, cellulari, smartphone, Pc, tablet, Mp3, cd, dvd, e di introdurlo anche per le smart Tv. Noi abbiamo proposto al Governo di sospendere tale aumento, convocare il tavolo tecnico con tutte le parti interessate per condurre uno studio indipendente sull’evoluzione tecnologica e il comportamento dei consumatori, recepire le raccomandazioni del Rapporto Ue dell’ex commissario Vitorino sulla copia privata, in modo da emanare, in tempi rapidi, un decreto che definisca un compenso effettivamente equo”.

Stando alle stime di Confindustria digitale l’aumento porterebbe nelle casse della Siae circa 200 milioni di euro (175 i milioni stimati dalla Società degli editori), rispetto ai 72 milioni del 2012. E se lo scorso anno il gettito da copia privata ha rappresentato il 13% del totale dell’incasso della Siae, con l’aumento attualmente proposto ne rappresenterebbe quasi il 30%, ovvero la metà della sola raccolta dei diritti musicali e 9 volte la raccolta delle opere cinematografiche, sottolinea Confindustria digitale.

Un incasso basato su una media Ue calcolata in “modalità piuttosto casalinga”, l’ha definita così il presidente Parisi: dal “paniere” sono stati infatti esclusi i 6 Paesi che non applicano l’equo compenso e, all’opposto, sono stati considerati gli unici tre Paesi su 28 in cui la misura viene estesa anche a prodotti quali tablet e smart tv. “Ma soprattutto – è il parere di Confindustria digitale – la misura non tiene conto del fatto che, rispetto a 5 anni fa, oggi la copia di un cd o un dvd per uso privato viene effettuata sempre più di rado. Oggi il consumatore che acquista la musica e i film legalmente lo fa in modalità streaming e se effettua un download lo fa perché autorizzato all’atto dell’acquisto su un numero limitato e autorizzato di terminali. Inoltre il contenuto “scaricato” viene sempre meno frequentemente copiato su altre memorie perché protetto. Dunque il fenomeno della copia privata è in forte riduzione e, pertanto, il relativo compenso dovrebbe essere ridotto, se non addirittura eliminato, come è avvenuto in Spagna nel 2012. “L’aumento dell’equo compenso per copia privata così come proposto –aggiunge inoltre Parisi – è ingiustificato e dannoso per lo sviluppo dell’Agenda Digitale italiana. In tutto il mondo avanzato la cultura e la tecnologia sono sempre più grandi alleate. Anche nel nostro paese, da alcuni anni, la collaborazione tra l’industria delle tecnologie digitali e l’industria delle cultura si è sviluppata in modo proficuo fino a definire una importante alleanza contro la pirateria on line come nel caso del recente regolamento dell’Agcom. Oggi, al contrario, si rischia di creare una contrapposizione tra questi due mondi che non può che rappresentare un passo indietro. Ancora una volta, come nel caso della discriminazione fiscale che subiscono i libri digitali rispetto a quelli cartacei, si vuole tassare l’innovazione per sovvenzionare lo status quo. E ciò non favorisce né l’affermarsi in Italia del circolo virtuoso dell’economia digitale, né l’evoluzione dell’industria culturale italiana verso i nuovi modelli di business che stanno emergendo nel resto del mondo” .

Contro l’aumento si schiera anche l’Asstel: “In rappresentanza degli operatori di Tlc – puntualizza il presidente Cesare Avenia – voglio sottolineare che le nostre aziende saranno fortemente impattate dalla misura. Le telco vendono i dispositivi oggetto dell’aumento e si troveranno a fronteggiare le lamentele degli utenti: l’unica strada a quel punto è farsi carico del balzello. Va da sé che per le telco è dunque una stangata considerato che già il settore non brilla per ricavi”. Anche Avenia lancia l’allarme in merito all’effetto boomerang sull’Agenda digitale: “L’Agenda non si farà mai se non affronteremo il problema del divario culturale e questa misura dimostra che siamo ancora molto indietro”.

Il presidente di Anitec Cristiano Radaelli evidenzia anche un’altra anomalia: “Con il televisore è impossibile fare copie private e quindi non si possono né conservare né condividere contenuti. Quindi i consumatori pagheranno per ciò che non utilizzeranno mai! Quindi il compenso deve essere pagato sul reale utilizzo dell’opera degli autori e non sull’acquisto tout court di un dispositivo tecnologico”.

Confindustria digitale, Asstel e Anitec fanno dunque fronte comune e si dicono concordi sul riconoscimento di un compenso sui contenuti ma purché sia equo.

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