Il commissariamento di Recchi e Patuano

Nel cda entreranno i più importanti top manager di Vivendi. Non certo per stare solo a guardare. Ma non è un cambiamento che può interessare solo la società telefonica e i suoi azionisti

Pubblicato il 16 Nov 2015

Gildo Campesato

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“Allons enfants de la patrie…”. Citare la Marsigliese in questi giorni può apparire quantomeno indelicato. Ci si perdoni, ma la richiesta di Vivendi di integrare il consiglio di amministrazione di Telecom Italia con quattro consiglieri di propria espressione altro non significa che la volontà del gruppo francese di entrare a piedi giunti nella gestione della società. E di comandare, quasi in prima persona.

E questo a dispetto di dichiarazioni, anche recenti, dei top manager di Vivendi che lasciavano trasparire la volontà di non occuparsi troppo da vicino della gestione di Telecom Italia. Invece, l’assemblea del 15 dicembre, convocata per la conversione in ordinarie delle azioni di risparmio voterà anche l’integrazione del cda da 13 a 17 membri con l’ingresso di quattro rappresentanti Vivendi. Date le forze in campo (il 20% di azioni ufficiali – se non di più – in mano a Vivendi, un altro 20% “sterilizzate” in quanto in mano a Xavier Niel e JpMorgan) il gruppo francese non avrà alcuna difficoltà a far passare la proposta.

La vera sorpresa non è tato il numero dei nuovi consiglieri “francesi” (si era parlato di due-tre), quanto del calibro dei nuovi ingressi. Arnaud Roy de Puyfontaine è il ceo del gruppo; Stephane Roussel è il chief operation officer, in pratica il responsabile della gestione; Hervé Philippe è il chief financial officer, altro ruolo cruciale in un’azienda. Soltanto Felicité Herzog non ha responsabilità gestionali in Vivendi: di nobili ascendenti, è associata della società di consulenza finanziaria Onda Partners con una carriera, in bilico fra finanza e industria oltre che scrittrice.

Il significato “politico” di questi ingressi “pesanti” come numero e come qualità dei nuovi consiglieri è uno solo: una stretta di Vivendi sulla gestione di Telecom con una inattesa accelerazione dei tempi. CI si aspettava una mossa simile, in modo anche più soft, con l’assemblea di bilancio della prossima primavera. Non certo ora. Al punto che essa può anche essere letta come un commissariamento di Giuseppe Recchi e Marco Patuano.

Ma perché proprio ora e per fare cosa? Ovviamente, spiegazioni ufficiali non ve ne sono. Si possono azzardare solo ipotesi. I tempi potrebbero essere stati accelerati proprio dall’occasione offerta dall’assemblea per la conversione delle azioni di risparmio. E la decisione di intervenire subito dettata anche dalla ripresa del “dualismo” gestionale che si è creato in Telecom Italia con ampie ricadute anche sui giornali. E poi, dalla necessità di avere sin d’ora rappresentanti forti in cda in caso di eventuali rimescolamenti nell’azionariato dopo l’ingresso di Niel (che però alcuni vedono come “supporter” indiretto di Bollorè).

Ma per fare cosa? Anche qui le ipotesi si sprecano: spianare la strada alla vendita di Tim Brasil (magari rispettando un patto segreto stretto con Telefonica)? Riportare in auge la trattativa con Metroweb affossata di fatto dal “vecchio” cda? Entrare, nella trattativa con Enel alla luce di quella “entente cordiale” che sembrava nata fra Bollorè e i nuovi vertici di Cdp? Non cambiare nulla delle strategie complessive come dicono alcuni analisti finanziari e come a noi pare, invece, alquanto improbabile) Vedremo, non ci sarà molto da attendere. Intanto, una sola cosa si può dire: “Allez la France!”. Ma l’Italia può veramente essere indifferente al destino di Telecom (Italia)? Come già abbiamo scritto di recente http://www.corrierecomunicazioni.it/it-world/37610_telecom-italia-e-moral-suasion.htm in ballo vi sono anche interessi più generali. Senza fare isterie nazionalistiche fuori luogo.

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