INCHIESTA HARD&SOFT

Il mantra dell’end-to-end

L’integrazione verticale sta diventando imprescindibile. In atto un profondo cambiamento della domanda: cloud, mobility e big data stanno trasformando i modelli di business

Pubblicato il 18 Mar 2013

Antonio Dini

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Bill Gates l’ha sostenuto per tre decenni. Il valore è nel software, non nell’hardware. Con la sua intuizione ha costruito un impero chiamato Microsoft. I tempi però sono cambiati. Sia nel settore consumer sia in quello aziendale, dove una nuova regola sta emergendo: l’integrazione verticale. Dal software ai servizi, dall’hardware alle componenti. Al centro, infatti, adesso ci sono bisogni diversi: l’esperienza degli utenti, il bisogno di diversificare la propria offerta, l’impatto di nuove tecnologie nel mercato.

Ad esempio nel mercato aziendale è in atto un profondo cambiamento della domanda. Come spiega il rapporto annuale Technology Vision 2013 di Accenture, pubblicato lo scorso 20 febbraio, le nuove tendenze della tecnologia come cloud computing, mobility, big data, stanno trasformando tutti i modelli di business esistenti in “business digitali”. La conseguenza è che le necessità dei manager sono cambiate e le tecnologie devono riuscire a fare molto di più. E non è più possibile avere in azienda tecnologie segmentate verticalmente od orizzontalmente. “Non ci devono più essere silos e compartimenti stagni per l’informazione”, sostenevano nel libro del giornalista Steven Levy i fondatori di Google Larry Page e Sergei Brin.

Dal punto di vista dei produttori di tecnologia, questo vuol dire rimettersi in gioco per strutturare nuovi modelli capaci di produrre valore: la chiave è l’integrazione. L’ha capito Oracle, corporation della gestione dei dati che a metà degli anni duemila ha cominciato a prepararsi per la “Next big thing”, vale a dire quelli che poi sarebbero stati chiamati Big Data. E l’ha fatto cercando di operare una acquisizione non di software (come sino a quel momento aveva fatto in maniera reiterata e spettacolare il vulcanico Larry Ellison) bensì di hardware: Sun Microsystems. In una intervista Larry Ellison lo ha dichiarato espressamente: “Stiamo investendo molto nell’hardware e mi aspetto di vedere le cifre tornare in positivo nel 2013”. L’obiettivo è di rendere unica l’offerta di cloud computing Iaas (Infrastructure-as-a-service) portando non solo la capacità e i software ma anche l’hardware da affittare nei datacenter dei clienti. Una offerta che Oracle non sarebbe riuscita a creare se non avesse avuto il controllo dell’intera filiera: dall’applicativo gestionale al database, dal middleware al server fino al processore UltraSpark, progettato dagli ingegneri Oracle/Sun.

Stessa strategia, partendo tuttavia dall’altro lato, è quella di Emc, corporation specializzata nello storage e poi via via in settori software sempre più articolati sino a diventare fornitore “end-to-end”. L’espressione “end-to-end”, è diventata negli ultimi tempi una specie di mantra per i manager delle aziende fornitrici di tecnologia in tutto il mondo. David He, vicepresidente marketing department dell’Enterprise business group della cinese Huawei, lo ha annunciato chiaramente: “L’Ict sta trasformando le imprese. Vogliamo diventare un one-stop-shop capace di offrire un insieme di prodotti e soluzioni di cui le imprese hanno bisogno”.

L’esempio di quanto conti l’integrazione l’ha dato Apple: Steve Jobs ha sempre voluto “fare tutto in casa” e il risultato è che si è trovato in posizione avvantaggiata quando si è trattato di produrre nuovi apparecchi in cui l’esperienza d’uso e l’integrazione tra le componenti e i servizi potesse fare la differenza: così è stato per iPhone e iPad con l’App Store e l’iTunes store, le due piattaforme per software e contenuti. Ma le altre aziende non sono state ferme ad aspettare.

Sony negli anni Duemila ha tentato di far convergere tutto il sistema dei suoi prodotti: hardware, software, servizi e contenuti. L’ex ceo britannico di Sony, Howard Stringer, è stato sostituito dall’attuale numero uno, il giapponese Kaz Hirai, proprio per non essere riuscito a far funzionare un sistema complesso e con troppe parti in conflitto.

Colossi come Samsung invece stanno facendo di una integrazione verticale che rasenta l’autarchia la leva con la quale aggredire i mercati. Samsung sta lavorando su più fronti, ma tenendo sempre il controllo di quante più tecnologie: dai software più disparati a vari tipi di hardware inclusa una serie di componenti chiave per il mercato, tra i quali processori, memorie Ram e Ssd. Uno dei settori in cui non ha completamente il controllo dei prodotti è quello dei telefoni, tablet e computer, perché il sistema operativo è realizzato da altri, ma non è detto che la cosa non possa cambiare.

Il bisogno di integrazione, la spinta verso la convergenza viene, secondo alcuni osservatori, dal mercato ancora prima che dalle aziende. Infatti gli “standard aperti” (l’antitesi dell’integrazione) non sempre vengono implementati in maniera letterale, anche per un comprensibile bisogno di differenziazione. E possono sorgere incompatibilità che solo chi controlla tutta la filiera è in grado di individuare e smussare. Invece, i prodotti e le tecnologie pensati e realizzati integralmente da un solo gruppo sono più facili da usare e più stabili. E, controllando non solo le tecnologie ma anche i costi, producono margini più ricchi che un tempo solo il software riusciva a dare.

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