LE REGOLE DELLA RETE

Internet, Stati Uniti a marcia indietro: in pericolo la nuova governance

Il pressing dei Repubblicani e i disaccordi a livello internazionale rischiano di far naufragare il passaggio al modello “multistakeholder”. Adottato negli Stati Uniti un emendamento che punta a bloccare tutto. Ma anche fra i democratici nomi eccellenti come quello di Bill Clinton premono per mantenere in casa il controllo della rete

Pubblicato il 27 Feb 2015

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Oltreoceano la linea “forte” sulla neutralità della rete votata dalla Fcc echeggia anche nel parallelo dibattito attorno alla decisione dell’amministrazione Obama di abdicare alla supervisione delle funzioni Iana. Un argomento che prende piede tra i detrattori del piano Wheeler è che la riclassificazione della banda larga sotto il titolo II, con tutti gli oneri regolamentari che almeno sulla carta ne derivano, fa a pugni con la posizione degli Usa in materia di Internet Governance: e cioè con la tenace opposizione di Washington a un qualsivoglia ruolo o intromissione da parte degli Stati nella complessa e “dispersa” architettura di governo della rete – che è in definitiva in mano a organismi no profit/privati e ancorata ad una fitta ragnatela di accordi commerciali. “Creando una contraddizione inconciliabile tra la propria politica domestica e quella internazionale, la causa di un Internet globale aperto e volano di libertà soffrirà”, ha scritto di recente il senatore repubblicano, ed ex commissario della FCC, Robert McDowell.

Punti di vista, naturalmente. Certo è che il previsto passaggio di consegne nella cabina di regia di Internet dagli Usa alla comunità internazionale rimane gravido di incognite. Il calendario corre. L’Icann ha tempo sino a fine settembre per scodellare una proposta di transizione. Ma sebbene l’ente non-profit californiano che amministra, per l’appunto sotto la sovrintendenza degli Stati Uniti, l’assegnazione dei domini e della gestione degli indirizzi ip abbia messo il turbo ai lavori, l’impressione è che il traguardo resti ancora distante.

Se il termine di settembre non fosse rispettato, il contratto tra l’Icann e Ntia (l’agenzia per le telecomunicazioni statunitense), venendo a scadenza proprio in quel mese, sarebbe esteso per altri 4 anni. Ritardando e agli occhi dei più pessimisti gettando nel burrone l’intero processo di transizione. Uno scenario che potrebbe materializzarsi anche per via della pressione politica domestica.

A Washington l’opposizione da destra guadagna, infatti, sempre più terreno. Negli ultimi mesi il partito repubblicano ha lanciato l’assalto alla diligenza a suon di proposte legislative e mozioni presentate in entrambe le camere (che per altro controlla). Un punto importante lo ha già messo a segno. Un emendamento all’ultima legge finanziaria votata in dicembre ha ridotto al lumicino gli spazi di manovra di Ntia vietandole di spendere sino al 30 settembre anche un solo centesimo su attività legate al processo di transizione. Un limpido escamotage per forzare l’agenzia a rinnovare il contratto con Icann, perpetuando lo status quo.

I repubblicani continuano inoltre a chiedere che il trasferimento dei poteri di supervisione sulle funzioni Iana sia vincolato all’approvazione del Congresso. Lo hanno ribadito forte e chiaro mercoledì nel corso di un hearing nella commissione commercio del Senato al quale partecipava anche il presidente dell’Icann, Fadi Chehadé. “Il governo non ha alcuna copertura legale per intraprendere da solo questa iniziativa”, ha scandito il senatore repubblicano Dan Sullivan. “Ogni azione sulla transizione dovrebbe essere promossa in stretta cooperazione con il Congresso, piuttosto che in maniera unilaterale”, è l’opinione del collega di partito Bob Platte. Il rischio agitato dalla destra americana, ma anche temuto dal governo, è che la transizione venga presto o tardi presa a pretesto da Cina, Russia e una nutrita cordata di paesi non occidentali per tentare di attribuirsi più poteri e legittimità internazionali nel controllare, e sovente censurare, il traffico internet all’interno dei propri confini.

A marzo 2014 il governo Usa aveva annunciato a sorpresa l’intenzione di spogliarsi e a titolo definitivo del controllo delle funzioni chiave che regolano i domini di Internet, incaricando l’Icann di coinvolgere tutti gli stakeholder per sviluppare una proposta di transizione, ma ponendo anche una serie di condizioni stringenti. “Non si accetterà una proposta che sostituisce il ruolo di Ntia con soluzioni intergovernative o a guida governativa”, aveva chiarito a suo tempo Washington, pur facendo presente che l’Icann ha già da tempo intrapreso un percorso di emancipazione nelle relazioni con il governo Usa e così d’internazionalizzazione delle proprie attività.

Comunque vada, le chance di uno slittamento rispetto alla data di settembre s’impennano ogni giorno di più. Lo ha ammesso implicitamente Lawrence E. Strickling, assistente segretario per le comunicazioni e l’nformazione e amministratore Ntia, durante un recente intervento: “Non c’è una deadline per la transizione. Se la comunità internazionale ha bisogno di più tempo, estenderemo il contratto per altri 4 anni”. In mezzo, però, ci sono le elezioni presidenziali 2016, che potrebbero mandare tutto all’aria. E non solo in caso di vittoria repubblicana. L’opposizione alla transizione ha sostenitori eccellenti anche in casa democratica. E’ il caso dell’ex presidente Bill Clinton, marito di quella Hilary che quasi sicuramente presenterà la propria candidatura.

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