Le telecomunicazioni sono l’infrastruttura invisibile che regge ogni attività economica e sociale, dalla manifattura 4.0 alla sanità connessa, dalla scuola digitale allo streaming. Eppure, i numeri raccontano una realtà paradossale: mentre il consumo di connettività esplode, i conti economici delle tlc italiane si stanno sgretolando.
A ricordarlo, aprendo il Forum Nazionale delle Telecomunicazioni 2025 organizzato da Asstel, è Andrea Rangone, professore ordinario di Digital Business e di Entrepreneurship al Politecnico di Milano, che ha illustrato i dati del “Rapporto sulla filiera delle telecomunicazioni in Italia 2025”, realizzato con gli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano.
Dal 2010 al 2024 il settore ha vissuto una vera e propria “decade perduta”: i ricavi complessivi – sommando retail fisso, retail mobile e wholesale – sono crollati del 33%, con 13,9 miliardi di euro evaporati, e il fatturato si è ridotto a 28 miliardi di euro. Nello stesso periodo, il traffico dati sulle reti di telecomunicazione è aumentato di oltre venti volte, mentre l’indice complessivo dei prezzi delle comunicazioni elettroniche si è ridotto del 40%.
Un settore infrastrutturale – stando ai numeri – che rischia il collasso economico proprio nel momento in cui la domanda di connettività cresce in modo esponenziale.
Indice degli argomenti
Il tracollo dei ricavi mobili: più dati, meno entrate
Il capitolo più impressionante dell’analisi riguarda la telefonia mobile. Nel 2010 i ricavi retail mobili erano pari a 17,1 miliardi di euro; nel 2024 si fermano a 9,8 miliardi. In quattordici anni il settore ha perso il 42% dei ricavi, pari a 7,3 miliardi di euro in meno.
Un tracollo che non è stato accompagnato da un calo dei consumi, tutt’altro. Il traffico dati mobile è cresciuto di oltre cento volte, spinto dalla diffusione degli smartphone, dal video in mobilità, dai social network ad alta intensità di banda e dall’uso crescente di servizi cloud. Allo stesso tempo, l’indice dei prezzi dei servizi di rete mobile ha registrato una forte riduzione, con un calo del 33%.
Gli italiani usano più rete che mai, ma pagano molto meno di prima. La competizione sui prezzi, alimentata dall’ingresso di nuovi operatori e da offerte sempre più aggressive, ha spinto verso il basso il valore del mercato.
Rangone sottolinea: «Dal 2010 al 2024 il mobile ha perso oltre 7 miliardi di ricavi l’anno, mentre il traffico dati è esploso: è una traiettoria che, senza correttivi strutturali, non è più sostenibile».
Il fisso non è immune: banda larga in crescita, margini in calo
Anche il comparto delle linee fisse mostra segnali preoccupanti. Tra il 2010 e il 2024 i ricavi retail fissi sono passati da 15,5 miliardi a 12,2 miliardi di euro: una riduzione del 22%, pari a 3,3 miliardi di euro in meno, proprio negli anni in cui il Paese ha accelerato sulla banda larga e ultralarga.
Il traffico dati sulle reti fisse è cresciuto di venti volte, trainato da streaming video, smart working, gaming online e servizi cloud. Anche in questo caso, però, l’indice dei prezzi della banda larga fissa indica una riduzione del 22%.
In altre parole, le reti fisse italiane sono più performanti che mai, la capacità trasmissiva cresce, ma il valore che torna alle imprese non segue lo stesso trend.
Rangone osserva che «le telco hanno portato più qualità e più velocità, ma si sono trovate in un mercato che continua a ridurre il valore della connettività».
Un’anomalia nel confronto internazionale
Mettendo a confronto la dinamica dei ricavi tlc nei principali Paesi europei tra 2010 e 2024, l’Italia emerge come uno degli outlier negativi più evidenti. Mentre nel nostro Paese i ricavi totali sono calati del 33%, in altri mercati i cali sono stati molto più contenuti, talvolta con una sostanziale tenuta o leggere crescite.
Altrove il settore è riuscito a preservare un equilibrio più sano tra prezzi, investimenti e redditività. In Italia, invece, la combinazione di pressione competitiva, frammentazione del mercato e struttura regolatoria ha generato una situazione quasi unica nel suo genere.
Per il docente del Polimi, «se continuiamo su questa traiettoria, rischiamo di trasformare un’infrastruttura critica in un business strutturalmente in perdita».
Il paradosso con l’energia: prezzi giù nelle tlc, su nell’elettricità
Un altro confronto eloquente è quello con il mercato dell’energia. Dal 2010 al 2024 l’indice dei prezzi delle comunicazioni elettroniche è sceso del 40%, mentre nello stesso periodo l’indice dei prezzi dell’energia elettrica è salito del 115%.
Sul fronte dei volumi, la sproporzione è ancora più evidente: il traffico dati è cresciuto di oltre venti volte, mentre i consumi di energia elettrica sono quasi fermi.
Nelle tlc si paga sempre meno per consumare sempre di più; nell’energia si paga sempre di più per consumare quasi la stessa quantità. Una dinamica che mette a nudo la svalutazione economica relativa della connettività, a fronte della sua crescente importanza strategica.
Cento miliardi di capex e costi in calo: la trappola del cash flow
Dal 2010 a oggi, le imprese di telecomunicazioni hanno investito circa 100 miliardi di euro, con una media di circa 7 miliardi l’anno, per finanziare la copertura mobile 4G e 5G, le reti in fibra, l’ammodernamento delle dorsali e l’acquisto dello spettro.
Sul fronte dei costi, gli Opex sono scesi da 25,3 miliardi nel 2010 a 20,3 miliardi nel 2024, con una riduzione del 20%.
Eppure, tutto ciò non ha compensato il crollo dei ricavi. Il saldo EBITDA-Capex, indicatore del cash flow operativo disponibile dopo gli investimenti, passa da 10,5 miliardi di euro a 0,02 miliardi: di fatto un azzeramento.
Rangone lo riassume così: «Abbiamo un settore ad altissima intensità di capitale che, dopo aver investito, non genera più cassa: così è impossibile sostenere nuovi cicli di innovazione».
ROI vicino allo zero, WACC all’8%: un business model che distrugge valore
La situazione della redditività sintetizza tutta la fragilità del settore. Il ROI del comparto è crollato allo 0,09%, contro un WACC dell’8,1%. Il rendimento dell’investimento è dunque molto inferiore al costo del capitale.
In queste condizioni, investire nelle tlc italiane significa distruggere valore. Le strategie industriali degli operatori si muovono infatti verso separazioni infrastrutturali, co-investimenti, consolidamenti e cessioni di asset, nel tentativo di recuperare sostenibilità.
Anche il margine operativo conferma la crisi: l’EBIT margin è passato dal 13,1% del 2019 a -0,1% nel 2023, scivolando in territorio negativo.
Perché la crisi delle tlc riguarda tutti
La crisi delle tlc non è un problema di settore. Riguarda l’intero sistema Paese. Senza reti affidabili e aggiornate, la digitalizzazione dell’economia italiana – dall’industria 4.0 alla sanità connessa, dalla PA al commercio elettronico – rischia di bloccarsi.
Per questo, sottolinea Rangone, è necessario riportare il tema al centro dell’agenda politica e industriale, superando una visione limitata al prezzo delle offerte retail. La questione vera oggi è la sostenibilità del modello economico dell’intera filiera.
Un’urgenza politica e industriale: rimettere al centro la sostenibilità delle reti
I dati mostrano che il settore delle tlc italiane è arrivato al limite della sua tenuta economica, pur avendo garantito negli ultimi anni investimenti straordinari. La forbice tra ricavi in caduta, prezzi in discesa e traffico in forte crescita è diventata insostenibile.
La sfida dei prossimi anni non è solo portare fibra e 5G ovunque, ma farlo in un quadro in cui chi investe possa contare su ritorni ragionevoli e regole stabili.













































