Dall’unbundling all’accesso wholesale di nuova generazione. Dall’avvento della banda larga all’era, prossima ventura della banda ultralarga. In un excursus che inizia dal 2001 (anno in cui è partito il processo di apertura delle centrali da parte di Telecom Italia) per proiettarsi al 2020 (la deadline del Piano banda ultralarga del governo italiano), l’Agcom ha deciso di ripercorrere le tappe miliari della storia dell’infrastrutturazione fissa italiana provando a stimare l’impatto degli investimenti nelle nuove reti sul pil, l’occupazione e, più in generale, sul mercato italiano. Il tutto attraverso due studi, uno realizzato in toto dall’Autorità presieduta da Angelo Marcello Cardani e l’altro realizzato insieme con l’Università Sapienza di Roma.
“Le determinanti degli investimenti privati in infrastrutture di telecomunicazioni” è il titolo dello studio realizzato dal Servizio Economico Statistico Agcom con l’obiettivo non solo di raccontare la lunga evoluzione dell’unbundling ma anche di verificare la possibilità di “replicare” un modello, quello dell’unbundling appunto, che ha consentito al Paese di evolversi e di evolvere sul piano infrastrutturale. “Adesso ci avviamo verso l’era della banda ultralarga– ha detto il presidente Cardani in occasione della presentazione dei due studi -. Un tema importante che va approfondito”. Da parte sua il commissario Antonio Nicita ha puntualizzato che siamo in una fase di transito determinante: “Per la prima volta le linee Ull tendono a diminuire lasciando spazio al cabinet e più in generale ai servizi wholesale di nuova generazione”. Se a primo impatto uno studio sull’unbundling potrebbe dunque apparire anacronistico come spiegano gli autori “l’esperienza dello sviluppo della concorrenza nei servizi in rame può sicuramente fornire indicazioni anche per la promozione della concorrenza nella fornitura di servizi di nuova generazione. Molti, infatti sono i punti di contatto tra le discussioni di ieri sulla necessità di aprire le centrali all’ULL e quelle di oggi sullo sviluppo delle reti di nuova generazione”.
La fotografia scattata da Agcom mostra una mappa delle centrali realizzate al netto, dunque, degli investimenti annunciati dagli operatori di Tlc sul fronte fibra e non ancora realizzati. All’aumento delle centrali – è quanto emerso dallo studio – è corrisposto un aumento degli operatori presenti sul territorio. Ed i principali operatori sono presenti in gran parte se non quasi nella totalità delle centrali Telecom. “Risulta chiaro – si legge nello studio – che la diffusione dei servizi di unbundling costituisce un rilevante driver della competizione, a dimostrazione della sussistenza di uno stretto legame fra investimenti e concorrenza. In secondo luogo, in virtù della sussistenza di una relazione positiva fra livello di istruzione, numero di imprese presenti sul territorio da un lato, ed investimenti in unbundling dall’altro, appare evidente che tutte le politiche volte a favorire il livello di istruzione (specie di alfabetizzazione informatica) e l’adozione di servizi di connettività dati da parte delle imprese potranno stimolare l’infrastrutturazione e quindi la concorrenzialità”.
Riguardo al secondo studio, intitolato “Accessing the sectoral effects of Ict Investments – The case of broadband networks”,che guarda in avanti e prova a simulare una serie di scenari sulla base di tre variabili di investimento (5-8 e 12 miliardi di euro al 2020) quel che ne emerge è un quadro a luci e ombre. Se è vero che la variazione di valore aggiunto (ossia di Pil) è superiore a un punto percentuale e che gli effetti sono incrementali al crescere degli investimenti stessi, è anche vero che gli analisti evidenziano alcune situazioni di criticità sul fronte occupazionale. E paradossalmente a subire il maggior “danno” sarà il comparto a più elevata potenzialità di crescita in termini di business, quello che viene indentificato come “dei computer e servizi relativi”. Se l’aumento in termini di valore aggiunto è stimato al 18% in 10 anni l’occupazione perderà sei punti percentuali.