FENOMENI SOCIAL

Marketing, è tempo di micro-influencer

Tra il 20% e il 50% degli acquisti avviene dietro “passaparola”. Determinanti gli amici e le conoscenze più “vicini”. Bastano 3.000 follower per avere un “peso” su Instagram

Pubblicato il 19 Set 2017

Leonardo Bertini, esperto di eProcurement e Digital change manager

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Per “micro-influencer” si intende una persona a cui è riconosciuta una competenza e conoscenza in un settore specifico, che segue con passione e “genuinità” da molto tempo. Non è un “vip” con milioni di fan, è più una figura tipo la vicina di casa, il maestro di arti marziali, la mamma che organizza le gite scolastiche, il presidente di un think tank no profit. A queste persone in molti si rivolgono per chiedere un parere prima di fare una dieta, prima di scegliere un pediatra oppure prima di votare per un candidato alle elezioni politiche. A questi si aggiungono gli influencer puramente digitali, ossia quelli che hanno un’identità solo virtuale seppur con molti “amici” (auspicabilmente non acquistati) ma non hanno una vera rete nel mondo reale.

Per quantificare il fenomeno si tratta di utenti che su Instragram hanno dai 3.000 ai 100.000 follower.

Questa conoscenza acquisita per lavoro o per passione li rende particolarmente affidabili su quel tema e il fatto di essere “oggettivi” nell’esprimere dei pareri, rende queste persone credibili e con una elevata reputazione (reputation).

La “reputation” unita al numero di persone che chiedono consigli, ha un valore economico (nel mondo reale e ancora più in quello 2.0) che può rendere un “micro-influencer” appetibile per un’azienda che vuole promuovere la propria offerta. Soprattutto nel caso di persone che hanno anche una rete di amici nel mondo reale, possono essere molto efficaci per intercettare un target specifico di utenti per età, reddito, area geografica, ecc.

Ecco perché negli ultimi anni si sta assistendo a sempre più frequenti campagne di marketing 2.0 basate su reti di micro-influencer (circa 570M dollari nel 2016 negli USA solo su Instagram) che condividono la stessa opinione su un servizio o postano episodi di vita quotidiana in cui il protagonista è il tal prodotto. Si pensi ad esempio ad un gruppo di skipper (tendenzialmente persone che hanno molti contatti e allievi) che commentano sui social un’uscita in barca a vela con foto in cui si vede un capo di abbigliamento.

A conferma della diffusione del fenomeno, nel luglio 2017 l’Autority per la Concorrenza e il Mercato (AGCM) supportata dal Nucleo Speciale Antitrust della Guardia di Finanza, ha inviato lettere di moral suasion ad alcuni dei principali influencer italiani e alle aziende da loro sponsorizzate, ricordando di rendere riconoscibile e trasparente l’intento commerciale dei post.

Come si diventa “micro-influencer”?

I più ascoltati sono quelli più “sinceri”, cioè quelli che in modo spontaneo e autentico hanno cominciato a postare per anni commenti su un determinato tema e si sono costruiti una base di fan (fan-base) a cominciare dai propri amici nella vita reale. Ci sono però delle tattiche per aumentare e consolidare il proprio audience: vediamone alcune. Partendo dalle basi, il primo punto è la visibilità su tutti i social (da Youtube a Instagram) con una presenza attiva e costante fatta anche di contenuti di qualità (non solo foto e tweet ma anche articoli e video interviste). Altro punto è quello della interattività: essere raggiungibili, rispondere ai propri “utenti” e creare coinvolgimento. Senza cadere nella tentazione di comprare followers, i nuovi strumenti di analisi hanno metriche per calcolare l’engagement reale e i fake-followers. Il punto successivo è quello di far diventare i propri contenuti virali per favorirne la condivisione e allo stesso tempo stare dentro gli #hastag. Altro punto è lo “stile”: non essere un mercante che vende prodotti ma scrivere responsabilmente!

Come un’azienda può utilizzare i micro-influencers per una campagna di marketing?

È fondamentale partire con le idee chiare sugli obiettivi da raggiungere, in modo da definire una strategia, un budget (alcuni micro-influencer chiedono 2.000 euro a post) e una tattica, degli indicatori di successo in modo da monitorare i risultati. Obiettivi e metrica di valutazione possono infatti indirizzare una campagna del genere da semplice sensibilizzazione sul marchio, fino ad una spinta ai volumi usando gli influencers come vera e propria forza vendite (coupon e sconti per i followers).

Un secondo elemento è legato al tipo di target (es. per età) e ai messaggi e contenuti da veicolare (es. solo foto o informazioni tecniche) perché in base a questi parametri si scelgono le diverse piattaforme social (Instagram, Pinterest, Reddit, Snapshot, Facebook, ecc.).

In base a questi elementi si scelgono i micro-influencers più efficaci a cominciare da quelli che sono già spontaneamente connessi con l’azienda e quindi conoscono il marchio e l’offerta. Per essere supportati nella ricerca ci sono molte piattaforme che fanno incontrare la domanda e l’offerta di influencers dividendoli per temi, zone geografiche, followers ecc. Ma l’elemento forse più importante è cosa hanno scritto e come lo hanno scritto nei periodi precedenti, visto che si tratta del proprio “ambasciatore”, l’azienda dovrà accertarsi con cura che sia in linea con i propri contenuti. Infine, evitare di fare pubblicità occulta e rendere evidente la natura promozionale inserendo ad esempio l’hastag #sponsorizzato #advertising #prodottofornitoda.

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