Ibm “comprime” i dati in real time

Svelata un’innovativa tecnologia in grado di liberare spazio su disco in fase di lavorazione senza pregiudicare le prestazioni. Walsh: “Siamo i primi”

Pubblicato il 17 Feb 2011

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Di qui al 2015 si assisterà al raddoppio della quantità di
informazioni che le organizzazioni devono gestire ogni 18-24 mesi;
i requirement relativi allo storage si stanno sviluppando a un
tasso medio del 30% l’anno mentre le disponibilità che le
imprese possono mettere a disposizione come budget per fronteggiare
il fabbisogno di memorizzazione non crescono più del 4% l’anno,
nella migliore delle ipotesi.

I dati ormai non si misurano più in petabyte ma in zettabyte (per
avere un'idea pratica della quantità di dati che 1 zettabyte
esprime basti pensare che questo corrisponde a circa 180 milioni di
volte le documentazioni conservate nella Biblioteca del Congresso
di Washington). Se queste sono gli input del mercato che cosa
possono fare i fornitori di tecnologie? Ibm la sua risposta l’ha
trovata e si chiama Real-time compression. E’ l’ultima delle
tecnologie sviluppate per la ottimizzazione delle risorse di
storage. Al momento occupa una posizione di vertice rispetto a
tecnologie come la virtualizzazione (dello storage beninteso), il
thin provisioning, la data deduplication e l’automation data
migration per richiamare le più importanti.

Ancora una volta Ibm propone una soluzione all’insegna del suo
fortunato slogan di “Do more with less”. La nuova proposition
è stata illustrata alla stampa italiana da Ed Walsh, responsabile
della Storage Efficiency Strategy Stg di Ibm, con un passato in
primarie aziende dello storage (Emc e Avamar) e con al suo attivo
anche una esperienza imprenditoriale sempre nel settore come
cofondatore di Articulent (provider di servizi di storage). Insomma
un pezzo da novanta della memorizzazione.

“Siamo partiti da una premessa di base – racconta – che era
quella di usare le risorse disponibili per memorizzare sugli stessi
più dati e in pari tempo migliorare l’efficienza nell’utilizzo
degli stessi e risparmiare anche sui costi operativi. Senza
compromessi di sorta, né per le piattaforme e le applicazioni, che
rimangono quelle di sempre, né per il degrado dei dati”. Per
fare questo e cogliere il più rapidamente possibile questo
obiettivo nello scorso anno Ibm si è comperata una azienda, la
Storwize, attorno alla quale ha costruito la nuova proposition, da
un paio di mesi in vendita anche sul mercato italiano: i primi
clienti dovrebbero essere delle banche.

“Questa azienda – spiega Walsh – ha sviluppato una tecnologia
storage unica nel settore, in grado di comprimere i dati primari,
ovvero i dati eterogenei che i clienti usano più frequentemente
– dai file, alle immagini di virtualizzazione, ai database – in
tempo reale e senza pregiudicare le prestazioni. Ciò la
differenzia da altre tecnologie di compressione storage, che
comprimono solo i dati secondari o di backup. Grazie alla
compressione dei dati primari, gli utenti possono archiviare fino a
cinque volte più dati utilizzando la stessa quantità di storage.
Il Random Access Compression Engine si basa sull’algoritmo di
compressione standard del settore e utilizza una tecnologia coperta
da oltre 30 brevetti per la compressione dei dati in tempo reale.
In questo modo le applicazioni di business analytics possono
diventare più efficaci grazie alla scansione di un numero di gran
lunga maggiore di dati storici provenienti da diverse fonti, senza
la necessità di aggiungere soluzioni storage supplementari”.

Walsh ha citato un esempio che fa molto riflettere: in un ambiente
di 100 terabyte che cresce a una media del 30% l’anno è
possibile risparmiare nel giro di quattro anni 950mila dollari,
mettendone sul tavolo appena 60mila nel primo anno e basta. Con la
compressione lo storage totale è di 89TB senza di 290TB.
Attualmente queste soluzioni (i loro nomi sono Stn6500 e Stn6800)
girano solo su piattaforme Ibm e NetApp; per le altre fervono le
certificazioni.

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