IL CASO

Symantec e Kaspersky nella lista “nera” della Cina

Dopo le perquisizioni nelle sedi di Microsoft scattano altre operazioni in nome della difesa della privacy del Paese. Per l’americana bandito l’uso di una soluzione per il data recovering mentre restano ancora ignote le cause dell’inserimento della russa fra le aziende considerate inaffidabili dal governo di Pechino

Pubblicato il 04 Ago 2014

Domenico Aliperto

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Continua l’offensiva cinese nei confronti degli sviluppatori di software stranieri, stavolta senza distinzioni tra Stati Uniti e resto del mondo. Da quando Snowden ha scoperchiato il vaso di Pandora rivelando i patti tra l’intelligence americana e alcuni big dell’Ict, molte corporation, Google e Apple in primis, hanno dovuto fare il callo ai continui attacchi dei media locali. Microsoft addirittura ha visto Windows 8 venire categoricamente escluso dai sistemi operativi degli uffici del governo centrale e la scorsa settimana è stata avviata nei confronti di Redmond un’indagine per presunte pratiche monopolistiche sulla distribuzione delle piattaforme, con ispezioni e sequestri nelle sedi di Pechino, Shanghai, Canton e Chengdu.

Stavolta nel mirino delle Autorità di Pechino ci sono finiti due tra i maggiori nomi della cyber security e dei programmi antivirus, Symantec e Kaspersky che, stando a quanto rivelato da due tweet pubblicati sulla pagina in inglese del quotidiano governativo (inteso non come filo-governativo, ma proprio come controllato dallo Stato cinese) People’s Daily, sarebbero stati eliminati dalla lista dei fornitori di software affidabili, che al momento, per quanto riguarda i produttori di anti virus, annovera soltanto aziende cinesi: Qihoo 360 Technology Co, Venustech, CAJinchen, Beijing Jiangmin e Rising.

In un primo momento Symantec, che pur avendo già ricevuto il mese scorso il bando cinese per un prodotto dedicato al data recovering, aveva escluso altre forme di interdizioni, soprattutto sul fronte dei software antivirus, si è rifiutata di commentare. Poi, in una nota inviata via mail, ha precisato che non “inserisce all’interno dei propri prodotti e tecnologie alcun tipo di backdoor, né per entità governative, né tanto meno per l’Nsa”. Quest’ennesimo colpo andrà a fiaccare ulteriormente le vendite di Symantec in Cina e nella regione Asia Pacific, che avevano già subito una flessione del 10% nell’ultimo anno fiscale, chiuso a marzo a 1,2 miliardi dollari. Ma le prime pesanti ripercussioni si sentono già in borsa: le azioni della società quotata al New York Stock Exchange hanno perso il 2,1%, la caduta più rilevante da marzo.

La situazione è nebulosa anche in Kaspersky. Il portavoce Alejandro Arango ha spiegato che la compagnia sta cercando di capire cos’è realmente successo avviando trattative con le autorità cinesi. La compagnia ribadisce che “non ci sono prove che i prodotti di Kaspersky Lab siano stati vietati dal governo cinese come riportato da alcuni media. Il Central Government Procurement Center cinese ha annullato temporaneamente l’approvazione nei confronti di tutti i fornitori di sicurezza stranieri inserendo nella lista dei vendor approvati solo i fornitori cinesi. Tuttavia, tale restrizione si applica solo alle istituzioni federali il cui finanziamento proviene dal bilancio del Central Government Procurement e non include amministrazioni regionali o grandi imprese. Stiamo verificando questa situazione e ci stiamo confrontando con le autorità cinesi. È troppo prematuro aggiungere altri particolari in questo momento. Kaspersky Lab ha sempre soddisfatto tutti i requisiti legali nei paesi in cui opera, tra cui la Cina. In qualità di fornitore del Central Government Procurement Center cinese, Kaspersky Lab fornisce da lungo tempo protezione superiore per il governo, le imprese e le istituzioni pubbliche ad ogni livello, fornendo un contributo significativo in diverse campagne di prevenzione della criminalità informatica”.

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