Il blackout che ha oscurato Spagna e Portogallo il 28 aprile non è stato soltanto un evento eccezionale: è stato un campanello d’allarme. L’oscurità calata su Madrid, Lisbona, Barcellona e Valencia ha rivelato in modo brutale quanto la nostra società sia vulnerabile. Non solo luci e traffico si sono fermati. Con il crollo della rete elettrica, anche il cuore pulsante della società digitale – la connettività – ha mostrato tutta la sua fragilità.
Internet azzerato di quasi il 90% in Portogallo, crollato dell’80% in Spagna. Reti mobili paralizzate. Applicazioni di messaggistica ridotte al silenzio. È bastato un fenomeno di “oscillazioni anomale” sulle linee ad altissima tensione, complice il maltempo estremo, per tagliare fuori la penisola iberica dalla rete europea. Ed è bastata qualche ora senza corrente per mettere in crisi anche i più robusti sistemi di backup delle telecomunicazioni.
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La fragilità di una società iperconnessa
Non possiamo più illuderci che la rete elettrica sia un’infrastruttura scontata. Senza energia stabile, crollano le torri cellulari, si spegne Internet, falliscono i soccorsi. Gli operatori telco, pur avendo investito in generatori e batterie, si sono scontrati con una dura realtà: le batterie durano poche ore, i generatori dipendono da carburante spesso introvabile durante emergenze estese.
Quando la corrente manca, il tempo non gioca a favore. Con il passare delle ore, anche i nodi intermedi della rete – quei sistemi meno visibili ma vitali per la trasmissione dei dati – si spengono. E con loro si spegne anche la nostra capacità di comunicare, lavorare, soccorrere.
Una crisi che si può solo prevedere, non evitare (per ora)
Le cause di questa fragilità sono note: infrastrutture elettriche invecchiate, cambiamento climatico che intensifica fenomeni estremi, rischi crescenti di cyberattacchi e sabotaggi. Ma a questa vulnerabilità si aggiunge una verità più amara: nel mondo della transizione digitale, la resilienza non è ancora stata pienamente integrata nella pianificazione.
Le telecomunicazioni moderne si fondano su un patto tacito con l’elettricità: funzionano solo se la rete è stabile. Eppure, a ogni crisi, ci accorgiamo di quanto poco si sia investito per rendere autonomi e resilienti i nodi critici.
Un problema (anche) di cybersecurity
Non è ancora probabilmente abbastanza chiaro che anche questa è cybersecurity. Non si può pensare soltanto a terroristi informatici che puntano a destabilizzare un Paese o a più comuni criminali che mirano a svuotare i nostri conti in banca. Non si tratta soltanto di poter contare su una rete di comunicazione veloce e performante. Ciò che si è verificato in Spagna evidenzia che cybersecurity è anche progettare una rete resiliente ai guasti, in grado di tornare in funzione in tempi rapidi dopo un incidente, per quanto grave ed eventualmente imprevedibile. Altrimenti il rischio è che le persone si fidino sempre meno della rivoluzione digitale, e tornino al caro, vecchio analogico, che avevano iniziato ad abbandonare dopo tante resistenze.
Il blackout come monito: servono azioni immediate
Il blackout iberico deve essere una lezione, non un’anomalia archiviata. Servono strategie concrete:
- Investire in backup energetici intelligenti, magari ibridati con fonti rinnovabili.
- Dare priorità assoluta ai servizi critici nelle emergenze, garantendo la loro operatività anche in condizioni estreme.
- Collegare le telecomunicazioni alle strategie di protezione civile, trattandole come infrastrutture salvavita, non solo come servizi commerciali.
- Sviluppare una resilienza di sistema, non affidarsi alla fortuna che le batterie durino abbastanza.
La collaborazione tra telco, operatori energetici e governi deve diventare sistematica. Non bastano più protocolli di emergenza scritti sulla carta: serve un ecosistema realmente resiliente, in grado di sostenere le nuove esigenze di una società che, senza connettività, non può funzionare.
Quando le luci si spengono, il digitale deve restare acceso
Il blackout iberico è stato un banco di prova. Un evento che ha mostrato quanto velocemente, nel 2025, si possa precipitare nel silenzio. Non possiamo permetterci di ignorare l’avvertimento. La competitività, la sicurezza e perfino la coesione sociale dipendono dalla capacità di mantenere viva la connessione, anche quando tutto il resto si ferma.
È tempo di costruire infrastrutture che non solo resistano agli shock, ma che continuino a funzionare, silenziosamente e tenacemente, anche nel buio.