Mentre in Italia Agcom avvia una nuova consultazione pubblica sulle frequenze mobili in scadenza il 31 dicembre 2029, il regolatore britannico Ofcom modifica il costo per l’uso delle bande 900, 1800 e 2100 MHz.
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Come cambiano i canoni
Per lo spettro a 900 MHz, i canoni scendono a 1,032 milioni di sterline per MHz (con una riduzione del 26%), per lo spettro a 1800 MHz a 0,760 milioni di sterline per MHz (anche in questo caso con un calo del 26%); in aumento invece il costo dello spettro a 2100 MHz che aumenta a 0,722 milioni di sterline per MHz (con un aumento del 6%).
Complessivamente i canoni totali pagati dagli operatori scenderanno dagli attuali 325 milioni di sterline all’anno a circa 265 milioni di sterline, pari a 60 milioni di sterline in meno. L’Ofcom inoltre ha messo a consultazione le proposte di modifica dei regolamenti sul commercio di telefonia mobile “per rimuovere un potenziale ostacolo al commercio dello spettro mobile”.
Il rapporto Mobile Matters
Ofcom ha inoltre pubblicato di recente il rapporto Mobile Matters che analizza la customer exprience degli utenti delle reti mobili, sulla base di dati raccolti in crowdsourcing da Opensignal tra ottobre 2024 e marzo 2025.
Il rapporto ha evidenziato che il 71% delle connessioni alla rete cellulare era su 4G (con un calo del 7% su base annua), il 28% su 5G (con un aumento del 9%), lo 0,7% su 3G e lo 0,2% su 2G. Nelle aree urbane del Regno Unito, il 29% delle connessioni di rete era su 5G rispetto al 19% delle aree rurali, secondo il rapporto.
Per quanto riguarda le reti 2G, la percentuale di connessioni è aumentata di pochissimo (meno di 0,1pp, allo 0,2%). La percentuale di connessioni su reti 3G è diminuita di anno in anno a valle del loro switch off.
In media, le connessioni 5G sono risultate più veloci per il download dei file, come ci si aspetterebbe. Il rapporto lo illustra dicendo che il download di un file di 2 MB richiede 0,3 secondi sul 5G, rispetto agli 0,7 secondi del 4G e ai 4,9 secondi del 3G.
I numeri del 5G SA
Il rapporto afferma inoltre che il 2% delle connessioni di rete sono state effettuate su 5G standaolone: il dato in termini assoluti non è alto ma va letto alla luce del lacio commerciale di Vodafone nel 2023 e quello di EE e O2 lo scorso anno.
L’analisi ha mostrato che il 5G SA ha fornito, sì, velocità di download significativamente più elevate rispetto al 5G non standalone, con tempi di download dei file più veloci di circa il 45%, ma ha fatto registrare un tasso medio di successo della connessione (96%) inferiore a quello delle connessioni 5G non standalone (98%).
Cosa sta succedendo in Italia
Come detto in precedenza Agcom ha avviato consultazione pubblica sulle frequenze mobili in scadenza il 31 dicembre 2029, proponendo due opzioni.
La prima è un modello misto che riguarda le bande 800 MHz, 900 MHz, 1800 MHz, 2.1 GHz, 2.6 GHz, 3.4-3.6 GHz e banda L: una parte verrebbe prorogata automaticamente fino al 2037 (rinnovabili per altri 12 anni), un’altra rinnovata con nuovi obblighi, e il resto messo a gara (con asta o beauty contest), aperta anche a Iliad e nuovi entranti, con diritti d’uso di 15 anni prorogabili di cinque. I nuovi obblighi prevedono copertura 5G con velocità minime di 150 Mbit/s in downlink e 30 Mbit/s in uplink nelle ore di punta.
La seconda opzione prevede un rinnovo secco fino al 2037 per tutte le frequenze, ma vincolato a reti 5G standalone e a requisiti rigorosi su copertura (inclusi territori rurali, turistici, montani e infrastrutture di trasporto). Gli operatori (Tim, Fastweb+Vodafone, WindTre) dovrebbero garantire accesso equo a Iliad, operatori virtuali e service provider. Per la banda 28 GHz, usata per Fwa e servizi satellitari, è prevista una proroga senza nuovi obblighi fino al 2037.
Verso il modello tedesco?
Secondo gli analisti di Intermonte gli operatori puntano a una proroga gratuita delle licenze in cambio di impegni di copertura, sul modello tedesco, dove l’estensione al 2040 è avvenuta con obblighi stringenti su aree bianche e assi ferroviari. In Germania dove la Bundesnetzagentur (BNetzA), agenzia federale delle reti, ha stabilito che Deutsche Telekom, Telefónica Deutschland (O2 Germany) e Vodafone Germany potranno continuare a utilizzare gratuitamente le frequenze per il 5G, nelle bande 800MHz, 1800MHz e 2.6GHz fino al 2030, ma dovranno rispettare obiettivi di copertura più ambiziosi e negoziare l’accesso con i concorrenti.
“Tuttavia, sarà probabilmente necessario un compromesso più bilanciato per garantire allo Stato introiti economici. L’asta per lo spettro 5G del 2018 costò 2,4 miliardi di euro sia a Tim che a Vodafone, tramite pagamenti pluriennali e una maxi rata finale da 1,7 miliardi nel 2022. Entrambi gli operatori investirono ulteriori miliardi per il rollout, scegliendo poi la condivisione passiva tramite l’integrazione di Inwit con le torri Vodafone Italia”.
Per il 5G standalone, rimarca Intermonte, sarà necessaria una nuova infrastruttura, non più ancorata alle torri 4G. “Nel breve medi termine, non escludiamo che per far fronte agli onerosi costi di rollout futuri gli operatori opteranno per una joint venture di Ran sharing per la rete attiva (condivisione trasmettitori ma non delle frequenze): la possibile costituzione di una joint venture a tre operatori per la condivisione delle infrastrutture attive consentirebbe agli operatori virtuali mobile di deconsolidare i capex e migliorare i ritorni sul capitale investito, e non dovrebbe presentare significative problematiche di natura antitrust”.
Frequenze per il 6G: telco Ue in pressing
Intanto in Europa si scalda il dibattito sulle frequenze 6G. Le big telco europee chiedono alla Commissione di assegnare la banda 6GHz alle reti mobili. In un momento in cui la corsa globale verso il 6G entra nel vivo, i principali operatori tra cui Tim, Orange, Telefónica, Deutsche Telekom e Vodafone — hanno firmato una lettera aperta indirizzata alla Commissione Europea per chiedere un’azione decisiva. Oggetto: l’assegnazione dell’intera banda superiore dei 6GHz (6,425-7,125 GHz) alle reti mobili. È una richiesta che affonda le sue radici in valutazioni non solo tecniche, ma anche economiche e strategiche: la disponibilità di spettro adeguato è infatti considerata imprescindibile per garantire la competitività, la sovranità digitale e la sicurezza delle comunicazioni europee nel prossimo decennio.
La lettera rappresenta un appello corale e urgente al legislatore europeo affinché venga evitata una nuova frammentazione dello spettro che potrebbe compromettere le ambizioni del continente nello sviluppo del 6G. “La sovranità e la competitività dell’Europa dipendono da una connettività veloce, affidabile e sicura”, si legge nel documento.
6GHz: una posta in gioco che vale il futuro economico
Secondo le stime contenute nel documento, il settore mobile è destinato a rappresentare fino all’8,4% del Pil globale entro il 2030. Tuttavia, avvertono gli operatori, senza l’accesso alla banda superiore dei 6GHz, tale contributo rischia di essere “significativamente ridotto”. La questione non è solo tecnologica: è un nodo che tocca l’economia reale, l’innovazione industriale e la capacità del continente di essere protagonista nello scenario geopolitico digitale.
Il rischio, paventano gli operatori, è che l’Europa perda terreno rispetto agli Stati Uniti, dove — al contrario — l’allocazione della banda 6GHz per il mobile è già più avanzata. Negli Usa, infatti, ampie porzioni della banda sono già utilizzabili per applicazioni Wi-Fi, e si teme che interessi tecnologici extra-europei possano consolidare un vantaggio competitivo sfruttando l’incertezza normativa del Vecchio Continente.