Ogni ricerca su Google, ogni streaming su Netflix, ogni interazione con ChatGpt consuma acqua. Non metaforicamente, ma fisicamente. Il raffreddamento dei server nei data center richiede miliardi di litri d’acqua ogni anno, e l’esplosione dell’Intelligenza Artificiale sta aggravando il problema. Secondo Cloud Computing News, alcune strutture consumano più acqua di intere città.
Questa crisi idrica digitale è ormai globale. Dall’Uruguay all’Olanda, le comunità locali protestano contro i giganti del tech, accusati di sottrarre risorse vitali in aree già colpite dalla siccità. Il tema è strategico per il settore telco e cloud: la sostenibilità delle infrastrutture digitali è diventata una priorità ambientale e sociale.
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Perché i data center consumano così tanta acqua
I data center sono il cuore pulsante dell’economia digitale. Ospitano migliaia di server che elaborano e trasmettono dati 24 ore su 24. Ma questa potenza computazionale genera calore. Senza raffreddamento, l’hardware si danneggerebbe in pochi minuti.
Esistono due metodi principali di raffreddamento: aria e acqua. L’aria è meno efficiente per ambienti ad alta densità, mentre l’acqua, grazie alla sua capacità termica, è preferita nei grandi impianti. Tuttavia, l’efficienza ha un costo ambientale: un data centre da 1 megawatt può consumare fino a 25,5 milioni di litri d’acqua all’anno, quanto 300.000 persone in un giorno.
L’impatto dell’AI: un acceleratore della crisi
L’Intelligenza Artificiale ha moltiplicato la domanda di raffreddamento. Modelli avanzati come Gpt-3 richiedono potenze di calcolo enormi, che generano picchi termici difficili da gestire. Ogni 10-50 risposte di ChatGpt consumano circa 500 ml di acqua. Su scala globale, l’impatto è devastante.
Secondo Accenture, entro il 2027 l’AI potrebbe causare un prelievo idrico tra 1,1 e 1,7 trilioni di galloni, più di sei volte il consumo annuo della Danimarca. Questo rappresenta un cambiamento strutturale nei modelli di consumo idrico dei data center, con implicazioni profonde per la pianificazione delle infrastrutture.
Dove prendono l’acqua i data center
La maggior parte dei data center si rifornisce da reti municipali. Google utilizza acqua non potabile o riciclata in circa il 25% dei suoi campus, ma il resto del settore dipende ancora fortemente da acqua potabile. Meta, ad esempio, dichiara che il 99% del suo approvvigionamento proviene da fornitori pubblici.
Alcuni operatori stanno sperimentando fonti alternative: acque reflue, piovana, di superficie o di falda, ma i costi di trattamento e le normative ne limitano l’adozione. Il riutilizzo dell’acqua è ostacolato da problemi di incrostazioni minerali e contaminazione, che riducono l’efficienza e aumentano i rischi per l’hardware.
Le tensioni sociali e ambientali
Il consumo idrico dei data centre è diventato un tema di conflitto sociale. In Uruguay, nel 2023, la costruzione di un hyperscale ha scatenato proteste popolari. I residenti, già colpiti dalla siccità, temevano per l’accesso all’acqua potabile e per l’agricoltura locale. Situazioni simili si sono verificate in Olanda, Cile e altre regioni vulnerabili.
Secondo le Nazioni Unite, entro il 2025 metà della popolazione mondiale vivrà in aree a stress idrico. In questo contesto, la competizione tra data centre e comunità locali per l’acqua diventa insostenibile. La sostenibilità non è più un’opzione, ma una necessità strategica.
Il problema della trasparenza
Solo un terzo degli operatori monitora attivamente il consumo idrico. Il principale indicatore, il Water Usage Effectiveness (Wue), misura solo l’uso diretto in loco, ignorando il consumo indiretto legato alla produzione di energia. Questo limita la comprensione reale dell’impatto ambientale.
Amazon Web Services, ad esempio, riporta un Wue globale di 0,19 litri per kilowattora, ma non include l’acqua usata per generare l’elettricità necessaria. La mancanza di dati affidabili ostacola la regolamentazione e la pianificazione sostenibile.
Industry response: verso data centre “water positive”
Gli operatori del settore stanno rispondendo con impegni ambiziosi. Amazon Web Services, Microsoft, Google e Meta hanno promesso di diventare “water positive” entro il 2030, ovvero di reintegrare più acqua di quella consumata.
Amazon punta a ripristinare 3,9 miliardi di litri all’anno attraverso progetti di recupero idrico. Microsoft ha annunciato una riduzione del 95% dell’uso di acqua nei data center con raffreddamento evaporativo entro il 2024. Queste iniziative rappresentano un cambio di rotta importante.
Le aziende stanno investendo in soluzioni circolari, come sistemi di raffreddamento a circuito chiuso, riciclo delle acque reflue e raccolta dell’acqua piovana. Queste tecnologie possono ridurre l’uso di acqua dolce fino al 70%. Microsoft, ad esempio, utilizza raffreddamento adiabatico, che sfrutta l’aria esterna quando la temperatura è inferiore a 29,4°C.
Tecnologie avanzate per il raffreddamento sostenibile
Le tecnologie di raffreddamento avanzato offrono promesse concrete. I sistemi liquid cooling, che utilizzano liquidi refrigeranti per dissipare il calore direttamente dai componenti, sono più efficienti rispetto ai metodi tradizionali ad aria. Tuttavia, richiedono investimenti significativi e competenze tecniche elevate.
L’integrazione di principi di gestione circolare dell’acqua è un passo cruciale per garantire che i data centre possano sostenere l’innovazione tecnologica senza compromettere l’ambiente. Come sottolinea Sadaf Hosseini, responsabile innovazione di UpLink al World Economic Forum, queste soluzioni aiutano a mitigare l’impatto ambientale e migliorare l’efficienza operativa.
Il costo invisibile dei data center
Gli attivisti ambientali parlano di costo nascosto del digitale. A differenza delle emissioni di carbonio, il consumo d’acqua rimane invisibile agli utenti, che continuano a caricare file, fare streaming e interrogare modelli AI senza percepire l’impatto.
La tensione tra domanda digitale crescente e risorse idriche finite è una sfida critica. Ogni upload, ogni query AI, ogni sessione di streaming porta con sé un costo idrico invisibile che le comunità globali iniziano a sentire con forza. Con l’aggravarsi della siccità e l’aumento della pressione sulle risorse, l’industria tech si trova davanti a una scelta: innovare verso soluzioni di raffreddamento sostenibili o diventare il capro espiatorio nelle regioni a rischio idrico.