I consumi in tecnologia e tempo libero (di cui, come tutti ben sappiamo, la componente digitale è diventata predominante) continuano ad aumentare: d’altra parte, negli ultimi tre decenni la spesa pro capite delle famiglie italiane per informatica e telefoni ha registrato una crescita vertiginosa, pari a circa il 3.000%. Tra le tante istantanee scattate dall’analisi che l’Ufficio Studi di Confcommercio ha realizzato, a partire dai dati Istat, sui consumi delle famiglie italiane tra il 1995 e il 2025, questa è quella che forse meglio delinea il rapporto tra i consumatori della Penisola e la dimensione digitale.
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La spesa in tecnologia è un segnale di resilienza delle famiglie italiane
“La rivoluzione tecnologica ha lasciato il segno nei comportamenti di spesa degli italiani”, nota l’Ufficio Studi. In parallelo alla spesa per prodotti e servizi informatici, oltre che per telefoni e smartphone, infatti, “anche i consumi legati alla fruizione del tempo libero – in particolare i servizi culturali e ricreativi – hanno mostrato un progresso significativo, con un aumento reale di oltre il 120%. Ad eccezione del comparto tecnologico e del tempo libero, poche altre voci mostrano segnali strutturali di espansione”.
La composizione dei consumi, del resto, cambia secondo trend consolidati. Il continuo incremento della componente tecnologica e dei servizi di comunicazione, insieme alla fruizione del tempo libero (o liberato da obblighi vari e costrizioni), specialmente in un contesto di crescita modesta, rappresenta per Confcommercio un indice di resilienza della società. La spesa media delle famiglie italiane nel 2024, in effetti, è cresciuta di 239 euro (+1,23%) a 22.144 euro pro capite ai prezzi del 2025 ma resta ancora lontana dai massimi raggiunti nel 2007. quando era a 22.334 euro.
L’analisi evidenzia con grande chiarezza cosa ha spinto consumi e pil in questo frangente storico dopo la ripresa post-pandemica: viaggi, turismo, tempo libero (oltre appunto alla tecnologia, che non dà né darà segni di fatica, almeno finché i suoi prezzi medi risulteranno fortemente decrescenti nel tempo).
Ma l’Italia è ancora un Paese a due velocità
L’analisi di Confcommercio descrive trend basati su medie nazionali. Ma la realtà è che l’Italia, sotto il profilo tecnologico e digitale, è un Paese ancora caratterizzato da luci e ombre: anche se nove famiglie su dieci sono connesse, il divario digitale non è ancora superato, e lo dimostra l’eterogeneità dei dati se ci si addentra in cluster sociodemografici e geografici.
Il Report Istat Cittadini e ICT 2024 restituisce in effetti l’immagine di un’Italia a due velocità: nel 2024, l’86,2% delle famiglie italiane dispone di un accesso a Internet da casa: un dato in aumento (+2,5 punti percentuali) rispetto all’anno precedente. Nelle famiglie con almeno un minore il tasso di connettività sale al 99,1% ed è comunque molto alta (94,5%) in quelle con soli adulti non anziani. Tuttavia, tra le famiglie composte esclusivamente da over 65, la quota scende a poco più del 60%.
Anche i divari territoriali restano significativi: nel Mezzogiorno, la quota di chi ha usa Internet con frequenza si ferma al 77,5%, sette punti in meno rispetto al Nord. Le regioni con la maggiore percentuale di famiglie connesse sono il Veneto e il Friuli Venezia Giulia (89,3%), mentre quelle con le percentuali più basse di famiglie connesse sono Sicilia (82,3%), Molise (80,8%) e Basilicata (79,7%). Pure l’istruzione continua a fare la differenza: naviga il 95,8% di chi ha una laurea, il 91,6% dei diplomati, ma solo il 69,7% di chi possiede al massimo la licenza media.
Le prospettive nell’attuale scenario internazionale
Il contesto va poi allargato allo scacchiere globale. Naturalmente, come per ogni categoria merceologica, anche sul comparto tecnologico la spada di Damocle dei dazi e della tesissima situazione internazionale rischia di avere impatti significativi. In merito alle prospettive sui potenziali conflitti tariffari, l’analisi del Centro Studi di Confcommercio considera che nell’orizzonte dell’anno in corso “non ci saranno azioni distruttive dell’attuale (dis)ordine mondiale, almeno non gravemente peggiorative dell’attuale assetto”.
Variazioni ragionevoli nel livello dei dazi sarebbero largamente assorbite grazie a due caratteristiche del nostro sistema produttivo: la prima è la moderata elasticità al prezzo dei beni e dei servizi che fanno parte del Sense of Italy, “cioè la fascia alta delle nostre esportazioni di beni (Made in) e del turismo incoming, aggregati che assieme costituiscono il contributo al PIL del saldo con l’estero”. La seconda ragione è che lo stesso prezzo varierebbe, data una modificazione del livello delle tariffe commerciali, meno che proporzionalmente, grazie alla capacità di assorbimento rappresentata dai margini attuali lungo le filiere produttive.
Commentando lo studio, il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, è lapidario: “Gli italiani tornano a spendere ma con cautela, privilegiando soprattutto il comparto tecnologico. Preoccupa e genera incertezza l’impatto dei dazi. Servono segnali di fiducia, a cominciare dalla riforma fiscale, per far ripartire consumi e investimenti”.