Il settore europeo delle telecomunicazioni si trova a un bivio cruciale. Da un lato, l’Europa ha investito molto negli ultimi anni per diffondere reti a banda ultralarga e infrastrutture 5G; dall’altro, il ritorno economico di questi investimenti è ancora troppo debole rispetto ad altre aree del mondo. Per analizzare lo stato di salute del comparto, Kearney ha sviluppato l’European Telecom Health Index, uno strumento che misura le performance in venti Paesi europei prendendo in considerazione cinque dimensioni: i risultati finanziari delle imprese, la capacità commerciale di generare ricavi, l’avanzamento tecnologico legato alla fibra e al 5G, la qualità del contesto normativo e di mercato e, infine, la percezione dei clienti.
Un approccio che offre una visione d’insieme più ampia rispetto ai tradizionali indicatori economici e mette in luce i punti di forza e di debolezza di un settore che resta fondamentale per la competitività del continente.
Indice degli argomenti
Mercati piccoli e concentrati in vantaggio
Dall’analisi emerge un primo dato sorprendente: i mercati più solidi non sono quelli più grandi, ma quelli di dimensioni ridotte e caratterizzati da una maggiore concentrazione. Paesi come Norvegia, Svezia e Svizzera guidano il ranking grazie a un mix virtuoso di diffusione delle reti in fibra e 5G, buona performance commerciale e livelli elevati di soddisfazione dei clienti. Al contrario, mercati come Germania, Italia e Regno Unito si collocano nelle retrovie: pur essendo economie di grande peso, soffrono ritardi negli investimenti infrastrutturali e faticano a trasformare le nuove reti in valore economico.
Il paradosso italiano
L’Italia si colloca all’ultimo ultimo posto tra le grandi economie europee con un punteggio di 56.9, ben al di sotto della media europea (68.9). In controtendenza rispetto a questi numeri, il customer sentiment italiano che altissimo: a 78.2 punti bel al di sopra della media europea.
Il tema della concentrazione appare centrale: laddove il numero di operatori principali è inferiore, i margini e il ritorno sugli investimenti risultano più elevati. Questo riapre il dibattito, molto acceso a Bruxelles, sul ruolo delle fusioni come strumento per rafforzare un settore frammentato e sotto pressione competitiva.
La sfida della monetizzazione di fibra e 5G
Un altro punto critico riguarda la capacità di monetizzare le nuove tecnologie. Se da un lato la copertura delle reti è in crescita, dall’altro la penetrazione reale dei servizi resta limitata. L’adozione del 5G, ad esempio, si ferma al 38% in Europa, ben al di sotto del 51% del Nord America. Anche per la fibra, le differenze tra Paesi sono marcate: alcune aree hanno raggiunto una copertura capillare, altre arrancano ancora con infrastrutture legacy.
Questa difficoltà a trasformare l’infrastruttura in ricavi concreti si riflette nei dati finanziari. Il ricavo medio per utente in Europa resta tra i più bassi al mondo, con margini che comprimono ulteriormente la possibilità di reinvestire in innovazione. È una spirale che rischia di indebolire il ruolo delle telco nel medio periodo.
Il peso della regolazione e la frammentazione europea
Oltre agli aspetti tecnologici e di mercato, a pesare è anche il quadro regolatorio. Lo studio sottolinea come la frammentazione normativa renda difficile sviluppare strategie cross-border e crei costi aggiuntivi per gli operatori. A ciò si aggiunge un approccio europeo tradizionalmente prudente sulle fusioni, che ostacola il consolidamento e impedisce la nascita di player continentali di scala paragonabile a quelli americani o asiatici.
Le associazioni di settore, dalla Gsma a Connect Europe, insistono da tempo sulla necessità di riforme: regole più snelle, assegnazioni dello spettro più lunghe, un’applicazione più flessibile del diritto antitrust. Solo così l’Europa potrà colmare il divario con i competitor globali.
Una corsa contro il tempo
Il quadro che emerge dall’Health Index di Kearney è quello di un settore vitale ma sotto stress. Da un lato esistono esempi virtuosi che dimostrano come sia possibile garantire reti moderne, soddisfazione dei clienti e ritorni economici adeguati. Dall’altro, i mercati più grandi e frammentati mostrano segni di affaticamento che rischiano di pesare sull’intera economia europea.
Se non si interviene con politiche più lungimiranti e con un rafforzamento del mercato unico delle telecomunicazioni, l’Europa rischia di perdere terreno in un ambito che rappresenta la spina dorsale della trasformazione digitale. La salute del settore, in definitiva, non è solo un tema per operatori e investitori: riguarda la capacità del continente di competere e crescere nell’economia globale dei prossimi anni.
Labriola: “Basta politiche concorrenziali predatorie”
“Il Telecom Health Index 2025 di Kearney fotografa con chiarezza la situazione delle telecomunicazioni in Italia: ultimo posto tra le grandi economie europee con un punteggio di 56.9, ben al di sotto della media europea (68.9) – sottolinea Pietro Labriola, Ad di Tim, in un post su Linkedin – C’è però un dato che può sorprendere: il customer sentiment italiano è altissimo (78.2), sopra la media europea”.
Si tratta, secondo Labriola, di un paradosso conosciuto. “Tariffe tra le più basse d’Europa hanno dato ai consumatori un sollievo fugace – spiega – Ma quelle stesse politiche hanno prosciugato i ricavi, rallentato la diffusione del 5G e lasciato incompiuti troppi progetti di miglioramento della qualità”.
“La costruzione di fondamenta solide passa da regole chiare e prevedibili, un mercato meno frammentato, investimenti capaci di generare valore – rimarca il manager – Ed è anche giunto il momento di mettere un freno a politiche concorrenziali predatorie che distruggono valore. In altri Paesi lo vediamo già: dove il mercato è più razionale e il quadro normativo favorisce gli investimenti, le reti sono più solide, i clienti veramente soddisfatti e la capacità di innovare è più alta. Ne va della competitività dell’Italia. Cosa aspettiamo?”