Il monito arriva da Sundar Pichai, ceo di Alphabet, e scuote l’intero ecosistema digitale: “Se la bolla dell’intelligenza artificiale esplode, nessuna azienda sarà risparmiata, noi compresi”. L’intervista alla Bbc segna un punto di svolta nel dibattito globale sull’AI, in un momento in cui gli investimenti raggiungono livelli senza precedenti e le valutazioni delle società specializzate volano.
Secondo Pichai, la crescita degli investimenti è stata “straordinaria”, ma la corsa all’AI mostra segni di “irrazionalità”. Il rischio di un collasso sistemico non è più remoto: il valore delle aziende tech è salito vertiginosamente, alimentando timori di una bolla simile a quella delle dot-com. Gli investitori, spinti dalla paura di restare indietro, stanno riversando capitali senza una chiara visione di sostenibilità.
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Il fabbisogno energetico e la sfida della sostenibilità
Oltre alla volatilità finanziaria, Pichai mette in luce un problema strutturale: l’AI consuma enormi quantità di energia. Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia, nel 2024 il settore ha rappresentato l’1,5% del consumo globale di elettricità. Un dato che spinge Google a rivedere i propri obiettivi climatici.
“Il ritmo con cui speravamo di progredire ne risentirà”, ammette Pichai, riferendosi alla neutralità carbonica entro il 2030. L’azienda sta investendo in nuove fonti energetiche e nel rafforzamento delle infrastrutture, ma la pressione è alta. La sostenibilità diventa così un tema centrale per l’intero ecosistema digitale, che rischia di vedere compromessi i target Esg.
Il fabbisogno energetico dell’AI non è solo un problema per le big tech. Anche le telco e i cloud provider devono affrontare un incremento esponenziale della domanda di potenza di calcolo. Data center più grandi, reti più performanti e sistemi di raffreddamento avanzati sono ormai indispensabili. Questo scenario impone investimenti miliardari e apre interrogativi sulla capacità delle infrastrutture di reggere il passo.
Impatto sul lavoro e trasformazioni sociali
L’intelligenza artificiale non cambia solo i bilanci, ma anche il lavoro. “Dovremo gestire le trasformazioni sociali”, afferma Pichai, sottolineando che l’automazione creerà nuove opportunità ma anche tensioni occupazionali. La sfida è duplice: governare la transizione senza amplificare disuguaglianze e garantire formazione adeguata.
Il dibattito si intreccia con le politiche pubbliche e le strategie aziendali. In Europa e Asia si moltiplicano le normative per garantire un’adozione responsabile dell’AI, mentre negli Stati Uniti cresce la pressione per regolare i modelli generativi. La governance diventa un fattore competitivo: chi saprà bilanciare innovazione e sicurezza sociale avrà un vantaggio strategico.
Il segnale dall’accordo Oracle-OpenAI: un campanello d’allarme
Il monito di Pichai trova eco in un’altra notizia che alimenta i dubbi sulla sostenibilità economica dell’AI. Il maxi-accordo da 300 miliardi di dollari tra Oracle e OpenAI, annunciato come rivoluzionario, è oggi valutato a meno 74 miliardi, secondo il Financial Times. Un ridimensionamento che ricorda quanto il mercato possa essere volatile e quanto il rischio di una “maledizione” degli investimenti sia concreto.
Gli analisti parlano di un caso emblematico: la corsa all’AI non può prescindere da modelli di business solidi e da infrastrutture capaci di reggere l’impatto energetico e sociale. Il ridimensionamento delle valutazioni è un segnale che il mercato sta iniziando a interrogarsi sulla reale capacità di monetizzare le tecnologie generative.
Per gli operatori telco e cloud, questa è una lezione chiara: non basta inseguire la hype. Servono strategie di lungo periodo, investimenti in efficienza energetica e partnership che garantiscano resilienza. La bolla, se esplode, non farà distinzioni.













































