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Frequenze, la partita di politica industriale in cui l’Italia si gioca crescita e competitività



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Il 31 dicembre 2029 scadono i diritti d’uso: una scelta che vale per competitività, qualità del servizio e traiettoria del 5G standalone, oltre che per i conti pubblici. Di Labio (Kpmg): “Il rinnovo delle frequenze è una decisione di politica economica: stabilisce se lo spettro viene trattato come leva di cassa di breve periodo o come leva di produttività di medio periodo”. Da Empoli (I-Com): “Riproporre una logica di massimizzazione dell’incasso rischia di essere un errore: servono canoni ridotti in cambio di impegni di investimento chiari e verificabili”

Pubblicato il 18 dic 2025

Federica Meta

Direttrice



banda 6 GHz alta in Europa

Il 31 dicembre 2029 non è una data qualunque per il settore tlc: coincide con la scadenza di un blocco di diritti d’uso delle frequenze che costituisce l’ossatura delle reti mobili italiane. La massa critica è tale da trasformare il tema in una scelta di politica industriale, perché riguarda una porzione maggioritaria delle risorse frequenziali impiegate per i servizi mobili e, insieme, incide su continuità di servizio, qualità della copertura, capacità di assorbire traffico e competitività degli operatori.
A rendere il dossier ancora più sensibile è la fotografia delle dotazioni: la distribuzione dello spettro tra i player non è omogenea e, se venisse semplicemente replicata nel ciclo successivo, rischierebbe di cristallizzare un’asimmetria in un momento in cui la competizione non si gioca più solo sui prezzi, ma sempre di più sulla capacità di offrire prestazioni e servizi “premium”, a partire dal passaggio al 5G standalone. Il punto, quindi, non è scegliere tra “rinnovo” e “gara” in astratto: è costruire un meccanismo che preservi gli incentivi agli investimenti e, allo stesso tempo, impedisca che la stabilità regolatoria diventi una rendita

In questo senso, come spiega a CorCom Davide Di Labio, partner di Kpmg, “il rinnovo delle frequenze mobili iè, prima che un dossier telco, una decisione di politica economica: stabilisce se lo spettro viene trattato come leva di cassa di breve periodo o come leva di produttività di medio periodo”.

“Nel dibattito sta prendendo forma l’idea di un approccio più orientato alla continuità e alla prevedibilità del quadro d’uso, potenzialmente con meccanismi che leghino la durata e le condizioni dei diritti a impegni verificabili e a correttivi pro-concorrenza. Un impianto del genere può reggere solo se diventa un contratto pubblico misurabile: KPI, scadenze, enforcement, ecc… – puntualizza Di Labio – Serve anche un contrappeso liberale: lo spettro è un bene pubblico scarso, quindi ogni scelta deve restare neutrale, proporzionata e non discriminatoria, preservando la contendibilità del mercato. In un contesto europeo, un rinnovo che non sia ancorato a obblighi e rimedi chiari rischia di essere letto come distorsivo; al contrario, un impianto basato su condizioni oggettive e verificabili è difendibile sul piano industriale e politico”.

La consultazione Agcom: dal confronto dei modelli al primo via libera sulla proroga

La consultazione Agcom nasce con un obiettivo evidente: anticipare una scadenza che, se affrontata all’ultimo miglio, rischierebbe di produrre incertezza e di rallentare le scelte industriali. Per questo l’Autorità ha impostato il confronto in più tappe, arrivando a mettere sul tavolo due alternative di fondo: un modello che prevedeva il rinnovo integrale delle frequenze in scadenza senza esborso, ma a fronte di investimenti, e un modello “misto”, nel quale la maggior parte delle risorse sarebbe stata rinnovata mentre una quota residua sarebbe confluita in una procedura competitiva.
La novità che sposta l’asse del dibattito è arrivata dopo la seconda consultazione pubblica: le licenze per le frequenze 5G in scadenza nel 2029 potrebbero essere prorogate fino al 31 dicembre 2037, perché per gli operatori tlc è arrivato un primo via libera dell’Agcom al rinnovo dei diritti d’uso a fronte degli investimenti. L’effetto pratico sarebbe quello di evitare una nuova gara, un esito auspicato da tempo dalle telco, che chiedono il rinnovo gratuito o comunque a costi molto contenuti delle licenze attuali. La ratio industriale è immediata: se non si apre un’asta onerosa, la liquidità può essere indirizzata al potenziamento delle reti, anziché essere assorbita dal costo di acquisizione delle frequenze.
In questo quadro, l’Autorità si è orientata verso il primo modello, rafforzando l’indirizzo del rinnovo dei diritti d’uso nelle bande 800, 900, 1400, 1800, 2100, 2600 e 3400-3600 MHz, oltre alla proroga della banda 28 GHz, fino al 31 dicembre 2037. L’architettura regolatoria, tuttavia, non si esaurisce nella scelta della proroga: il rinnovo verrebbe subordinato a obblighi di copertura tecnicamente evoluti, che incorporino parametri di qualità come latenza e densità di connessioni, e dovrebbe essere accompagnato da un obbligo di accesso wholesale rafforzato, comprensivo di strumenti come spectrum sharing e network slicing, con oneri maggiori per chi dispone di più spettro a beneficio dei soggetti con minore dotazione e degli MVNO.
Il percorso non è chiuso. È attesa una terza consultazione per definire gli aspetti tecnici e chiarire, soprattutto, come verrà reso operativo l’accesso rafforzato. Solo dopo la chiusura di questa ulteriore fase l’Autorità potrà inviare il proprio parere al Mimit, che resta l’istituzione chiamata a chiudere il cerchio e a tenere insieme l’impianto regolatorio con la cornice economica complessiva.

Il nodo del prezzo: lo spettro come variabile che influenza la qualità della rete

La posta in gioco della politica dello spettro diventa più comprensibile quando si osservano le evidenze empiriche. Lo studio KPMG “Le aste frequenziali e l’evoluzione delle reti mobili” evidenzia una relazione che, nel dibattito europeo, sta diventando sempre più centrale: quando lo spettro “costa troppo”, gli investimenti di rete tendono a ridursi e la qualità ne risente. In particolare, il report associa un aumento del prezzo dello spettro (misurato come incremento di 10 punti percentuali sui ricavi ricorrenti) a un peggioramento degli indicatori, con -6 punti percentuali di copertura 5G, -8% di velocità in download e un calo anche in upload. Al di là della metrica specifica, il messaggio è netto: una politica che massimizza l’incasso nel breve periodo può generare un costo indiretto in termini di prestazioni e disponibilità di rete.

Sul nodo del prezzo riflette Stefano Da Empoli, economista e presidente di I-Com.
“Riproporre una logica di massimizzazione dell’incasso rischia di essere un errore, perché ne abbiamo già visto le conseguenze – sottolinea Capisco le esigenze di finanza pubblica, ma se l’obiettivo è modernizzare il Paese serve lasciare più margine agli operatori per investire. Negli ultimi anni gli investimenti hanno segnato il passo, in particolare sul 5G standalone: su questo abbiamo fatto troppo poco. Per questo, a mio avviso, ha senso ragionare su una forte riduzione della componente economica del rinnovo – fino a ipotesi di ‘costo zero’ o sconti molto significativi – a fronte di impegni di investimento chiari e verificabili. Si tratta di un approccio potenzialmente win-win: lo Stato rinuncia a una parte dell’incasso immediato ma in prospettiva potrebbe contare su una maggiore crescita economica, nel medio termine, e quindi su un miglioramento anche del rapporto debito/PIL; gli operatori, da parte loro, recupererebbro spazio per investire in un contesto in cui la pressione sui ricavi è già molto forte. Il punto chiave è ovviamente il controllo: gli impegni devono essere monitorati e fatti rispettare. E resta anche una leva temporale: parliamo di canoni che peserebbero dal 2030 (Agcom sta ragionando sul 2037 ndr) in poi, a fronte di investimenti che potrebbero riverberare i propri effetti almeno in parte già nel breve termine”.

Il caso Italia

Nel report di KPMG, l’Italia viene descritta come un caso “fuori scala” tra i Paesi sviluppati. La mappatura del rapporto fra costi delle frequenze e ricavi ricorrenti segnala un disallineamento strutturale, indicando un rapporto costi licenze/ricavi al 15% nel 2023, oltre la soglia del 10% considerata sostenibile. La conseguenza è che la discussione sul 2029 si apre mentre il settore deve già fronteggiare un equilibrio economico complesso, perché la rete va mantenuta e potenziata in un contesto nel quale la capacità di generare margini addizionali non cresce allo stesso passo della domanda di traffico e delle aspettative di qualità.

La tensione tra investimenti e sostenibilità è ben rappresentata da un paradosso: l’Italia ha raggiunto risultati di copertura rilevanti, ma fatica a trasformarli in ritorni economici proporzionati. KPMG evidenzia che la copertura 5G in C-band in Italia arriva al 93,9% nel 2024, collocando il Paese al secondo posto in Europa e sopra la media UE. Nella stessa sezione, però, il report sottolinea che il valore aggiunto è stato finora catturato soprattutto dal consumatore finale, mentre gli operatori non hanno ancora beneficiato pienamente dei ritorni economici degli investimenti sostenuti.

Questo scarto diventa particolarmente delicato nella fase in cui il 5G standalone passa da progetto a necessità industriale. La transizione al SA implica investimenti ulteriori in core, automazione e capacità di offrire prestazioni differenziate; se il sistema sottrae risorse con costi di licenza elevati, l’effetto non si limita a ritardi tecnici, ma si riflette sulla capacità di abilitare applicazioni avanzate e servizi industriali, cioè proprio i casi d’uso che possono sostenere la monetizzazione del 5G.

Perché le telco chiedono “non onerosità”

In questa cornice si colloca la richiesta, avanzata con forza dall’industria, di una soluzione non onerosa o quasi. L’argomento è pragmatico: a fronte di bilanci compressi, la priorità è evitare un trasferimento di liquidità dalle reti al capitolo licenze. Il punto non è soltanto “pagare meno”, ma costruire un patto regolatorio nel quale l’estensione dei diritti d’uso si traduca in investimenti verificabili e in obiettivi di qualità misurabili. Il tema, tuttavia, non si esaurisce nel perimetro Agcom. La governance italiana distingue tra il disegno dei meccanismi e la decisione sulla cornice economica: l’Autorità definisce modalità di allocazione, obblighi e condizioni di mercato; il decisore pubblico, attraverso i ministeri competenti, resta centrale nel determinare se la politica dello spettro debba produrre gettito e in quale misura. È su questo crinale che la proroga al 2037 assume un significato politico oltre che regolatorio, perché può diventare lo strumento per ridurre pressione finanziaria e accelerare investimenti, purché i vincoli siano disegnati in modo da preservare concorrenza e qualità.

“Qualunque assetto regolatorio produce valore solo se accompagnato da una traiettoria industriale credibile – sottolinea Di Labio – efficienza operativa, qualità dell’esperienza, affidabilità e servizi come elementi di differenziazione, e un’evoluzione del posizionamento commerciale che sostenga la monetizzazione della connettività. In questo senso è positivo che il tema si inserisca nel movimento più ampio di istanze della filiera per ridare sostenibilità e capacità d’investimento al settore; ma proprio per questo vale una cautela operativa, non ideologica: evitare che il dibattito si riduca a un “tira e molla” regolatorio e puntare invece a meccanismi più da libero mercato – regole stabili, contestabilità reale, strumenti che premino l’uso efficiente delle risorse (e rendano visibili i costi delle inefficienze) piuttosto che surrogati di aiuto che rischiano, anche involontariamente, di conservarle. C’è ancora molto da fare sul “lato domanda”: risalire nelle classifiche di gradimento dei consumatori, migliorare la percezione quotidiana del servizio, e uscire dal loop della commoditizzazione. Perché la connettività torna a creare valore solo quando viene riconosciuta come esperienza affidabile, non come voce da comprimere. Senza questa componente, anche il miglior disegno sullo spettro rischia di tradursi in stabilità senza crescita.”

Sul tema industriale insiste anche da Empoli: “Il rinnovo può diventare uno strumento di politica industriale a tutti gli effetti, con una legittimità piena nel perseguire obiettivi strategici, anche di sovranità digitale. Se disegnato bene, è un meccanismo particolarmente efficace perché consente di legare lo spettro a risultati misurabili: investimenti reali, non solo annunciati. Questo vale per l’accelerazione del 5G standalone, per lo sviluppo di reti private e applicazioni industriali, e per la copertura delle aree a fallimento di mercato. In sostanza: un uso non gratuito delle frequenze, ma “scambiato” con maggiori investimenti nella rete e obiettivi verificabili. Secondo analisi economiche ancora riservate che ho avuto modo di leggere sarebbe dimostrato un saldo netto positivo per le casse pubbliche grazie all’effetto moltiplicatore degli investimenti. Così il rinnovo può produrre risultati più rapidi e finanziariamente più sostenibili anche per la finanza pubblica rispetto ad altri strumenti di politica industriale oggi in discussione”.

I modelli internazionali

Il confronto internazionale aiuta a leggere i compromessi, perché mostra che la politica dello spettro non è neutra e che la combinazione fra prezzo e durata dei diritti d’uso produce effetti concreti sul mercato. Lo studio KPMG propone un quadro comparato nel quale l’Italia appare nel cluster “high cost/low duration”, evidenziando per la banda C un prezzo unitario di 0,37 €/MHz/pop e una durata di 18 anni, mentre mercati come la Svezia si collocano su valori molto più bassi, con 0,05 €/MHz/pop e durate comparabili. La lettura implicita è che prezzi più contenuti e orizzonti temporali chiari rendono più prevedibile il ritorno degli investimenti e aumentano la capacità di sostenere rollout e densificazione.
Il report entra anche nel dettaglio europeo e indica che l’Italia ha sostenuto il prezzo unitario più alto d’Europa per la C-band (0,37 €/MHz/pop), con un esborso di 4,4 miliardi di euro per 200 MHz, mentre Paesi come Irlanda e Svezia avrebbero ottenuto quantità elevate di banda a prezzi unitari molto inferiori. Anche qui il punto non è tanto stilare classifiche, ma comprendere il trade-off: quando la componente “licenze” drena risorse, la capacità di investire nella rete può ridursi proprio nel periodo in cui si chiede agli operatori di accelerare.
Nella lettura comparata, le aste multi-round hanno spesso privilegiato l’obiettivo di massimizzare le entrate pubbliche, ma hanno anche aumentato la pressione sui bilanci, soprattutto nei mercati in cui la redditività è limitata e la competizione sui prezzi rimane intensa. All’estremo opposto, i rinnovi amministrativi o le estensioni dei diritti d’uso in cambio di obblighi infrastrutturali puntano a stabilità e prevedibilità, ma richiedono una regolazione rigorosa, perché la stabilità non diventi rendita. Obblighi verificabili, enforcement credibile e strumenti di accesso diventano quindi condizioni necessarie affinché il modello regga, soprattutto nei mercati dove la distribuzione dello spettro è asimmetrica.

La spinta Gsma: riformare prezzi e rinnovi per liberare investimenti e accelerare il 5G SA

La traiettoria italiana verso la proroga al 2037 si inserisce in un dibattito continentale nel quale la GSMA chiede un cambiamento di impostazione. Secondo GSMA Intelligence, i governi europei potrebbero ridurre la pressione dei costi sugli operatori e favorire investimenti nel 5G standalone riformando le regole su prezzi e rinnovi delle licenze, con l’effetto potenziale di liberare fino a 30 miliardi di euro da reindirizzare negli aggiornamenti di rete. Nello stesso perimetro, la GSMA ricorda che nei prossimi dieci anni oltre 500 licenze dovranno essere rinnovate in Europa e che queste risorse sostengono ancora una parte decisiva delle reti 3G e 4G che servono centinaia di milioni di utenti.
La lettura dell’associazione insiste su un “circolo vizioso”: costi elevati riducono gli investimenti, rallentano la migrazione al 5G SA e, di conseguenza, indeboliscono la capacità di monetizzare servizi avanzati. In questa prospettiva, la stima di un costo complessivo che potrebbe arrivare a circa 105 miliardi di euro fino al 2035 con politiche invariate diventa l’argomento per chiedere un ripensamento delle regole. Il dato simbolico citato nel dibattito è quello dell’adozione del 5G SA: in Europa resterebbe marginale rispetto ad altri mercati, con una distanza particolarmente marcata rispetto alla Cina e, in misura minore, rispetto agli Stati Uniti.

Accesso rafforzato: la condizione perché la proroga non congeli la contendibilità

Se la proroga fino al 2037 evita l’incertezza di una nuova gara, deve però rispondere a un’altra esigenza: impedire che la stabilità congelI il mercato. È per questo che il capitolo dell’accesso wholesale rafforzato diventa centrale e, realisticamente, sarà uno degli snodi più delicati della terza consultazione. Affinché strumenti come spectrum sharing e network slicing siano più di un principio, dovranno essere tradotti in condizioni tecniche e commerciali chiare, con parametri di qualità e meccanismi di enforcement che rendano l’accesso realmente utilizzabile.
La logica che si intravede è quella di una “contendibilità in esercizio”: se non si apre una procedura competitiva in ingresso, la concorrenza deve essere protetta attraverso la possibilità per chi dispone di meno spettro e per gli MVNO di accedere a capacità e funzionalità in modo efficiente, senza degradazioni e senza condizioni che rendano il modello impraticabile. In questo senso, gli obblighi di copertura evoluti e l’accesso rafforzato diventano i due pilastri che possono legittimare la proroga: il primo orienta la stabilità verso risultati misurabili, il secondo evita che la stabilità riduca la pressione competitiva.

Pressione economica e ciclo degli investimenti

Il tema si riflette anche nei numeri strutturali del settore. KPMG evidenzia che nel 2024 il CAPEX delle tlc italiane vale il 28% dei ricavi, mentre i prezzi al cliente finale risultano in calo di circa il 30% in dieci anni. La combinazione fra intensità degli investimenti e compressione dei ricavi rende più fragile la capacità di finanziare i cicli tecnologici successivi, che includono non solo il completamento del 5G SA, ma anche cloudification, automazione e, in prospettiva, 6G.
Dentro questa forbice, la politica dello spettro diventa una leva che può ridurre o aumentare la pressione. Un’impostazione che sottrae risorse al capitolo investimenti può rendere più lenta la densificazione e la crescita di capacità proprio nel momento in cui la domanda di prestazioni cresce; un’impostazione che lascia spazio finanziario agli operatori deve però garantire che lo spazio venga effettivamente reinvestito, trasformandosi in qualità percepita e in disponibilità di servizi avanzati.

Oltre le reti terrestri

Sul medio periodo, il perimetro competitivo potrebbe allargarsi oltre il tradizionale confine delle telco mobili. KPMG richiama il ruolo crescente delle soluzioni satellitari direct-to-device, descrivendo un contesto nel quale il satellite può diventare partner strategico per estendere copertura e resilienza, raggiungendo anche aree prive di rete mobile terrestre e offrendo capacità di backup. Il tema è rilevante perché introduce una variabile ulteriore nella governance dello spettro e nella pianificazione degli investimenti, dal momento che la convergenza fra reti terrestri e non-terrestri può modificare la percezione stessa di copertura e affidabilità.
In un mercato già critico, la presenza di attori non-terrestri può portare benefici in termini di continuità del servizio, ma impone anche regole chiare per evitare che la nuova architettura introduca squilibri o zone grigie. Per questo, una decisione sul 2037 dovrebbe mantenere un margine di flessibilità, capace di accomodare l’evoluzione tecnologica senza indebolire la coerenza regolatoria.

La scelta finale: stabilità in cambio di risultati verificabili

L’orientamento verso il rinnovo al 2037 disegna un patto implicito: stabilità per gli operatori in cambio di investimenti, obblighi di qualità e accesso rafforzato. La sostenibilità della scelta dipenderà dalla capacità di trasformare questo patto in regole operative, misurabili e verificabili. Se la proroga consente davvero di accelerare il 5G standalone e di alzare l’asticella della qualità, la decisione può essere letta come una politica infrastrutturale coerente con la traiettoria europea; se, al contrario, la stabilità non si traduce in outcome misurabili e l’accesso resta una formula generica, il rischio è di rinviare il problema senza risolverlo.
Il 2029, in definitiva, non è soltanto una scadenza: è un test sulla capacità del Paese di usare la politica dello spettro come leva di competitività digitale, senza sacrificare la contendibilità del mercato e senza spostare sul futuro costi che si pagano in qualità e innovazione.

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