“La rivoluzione industriale 4.0 è l’occasione per far compiere a tutta la nostra manifattura un deciso salto di qualità, a patto che esalti i punti di forza e la complessità espressa da artigiani e piccole imprese e non si riduca all’applicazione indiscriminata di standard definiti altrove e per sistemi produttivi completamente diversi da quelli italiani”. E’ l’indicazione espressa da Cesare Fumagalli, il segretario generale di Confartigianato, intervenuto oggi ad un’audizione alla Commissione Attività Produttive della Camera nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla rivoluzione industriale 4.0.
Il modello da applicare in Italia, sottolinea Fumagalli, “deve essere aderente alla biodiversità produttiva del nostro Paese in cui prevalgono gli artigiani e le micro e piccole imprese. Quello italiano è un sistema imprenditoriale unico al mondo, in cui il 99,4% delle imprese sono micro e piccole, con meno di 50 addetti, estremamente articolato, ricco di antica tradizione produttiva, ma al tempo stesso fortemente pervaso di creatività e di spinta alla continua innovazione”.
Il sistema delle Mpmi (micro-piccole-medie imprese) artigiane, rileva il segretario generale di Confartigianato, “ha ormai da anni ibridato i propri processi produttivi con il mondo dei makers, accostando tecnologie digitali e saper fare artigiano e producendo risultati di grande rilievo. L’incontro tra artigiani e maker disegna uno scenario, assai solido nei numeri e nelle prospettive, di digitalizzazione della manifattura complementare al modello ‘alla tedesca’”.
A giudizio di Confartigianato, la via italiana alla manifattura digitale passa dall’investimento sulle competenze e sulla riqualificazione del capitale umano non come problema ma come opportunità; dal riconoscimento, anche in termini di politiche pubbliche, dell’innovazione basata sulla sperimentazione creativa e l’innovazione incrementale; dal sostegno ai processi di innovazione aperta e non gerarchica e di produzione collaborativa; dallo sviluppo di strumenti per l’intermediazione intelligente fra saper fare e innovazione, ossia fra artigiani nuovi e tradizionali e portatori di nuove soluzioni e di nuove visioni.
Per Cna è invece necessario introdurre agevolazioni fiscali sulle spese relative agli investimenti in tecnologie, strumenti per migliorare una o più fasi del processo produttivo, formazione e costituire un fondo pubblico-privato (che coinvolga anche istituzioni locali, scuole, università, centri di ricerca) per favorire la contaminazione digitale della manifattura e l’innovazione prima di tutto attraverso investimenti in macchinari all’avanguardia.
La strategia dev’essere costruita ponendo al centro dell’attenzione e dell’azione le micro e le piccole imprese. Solo attraverso una spinta forte alla valorizzazione del capitale umano e all’accrescimento delle competenze delle micro e piccole imprese, sostiene la Cna, “sarà, infatti, possibile realizzare una crescita significativa e qualificata del valore aggiunto della produzione italiana”. Contrariamente alla vulgata imperante, peraltro, “le micro e le piccole imprese già riconoscono l’importanza della digitalizzazione”.
Un recente studio della Cna dimostra che il 95% di mPmi utilizza internet come strumento di lavoro. Oltre una micro impresa su quattro (il 26,2%, per la precisione) e più di quattro imprese su dieci sopra i venti addetti (il 44,4%) utilizzano, inoltre, strumenti di fabbricazione digitale.