IL REPORT

Spid, utenti raddoppiati in un anno. Polimi. “Ora bisogna coinvolgere le imprese”

Secondo l’Osservatorio Digital Identity della School of Management il 43% degli italiani è dotato di identità digitale, ma solo il 15% la usa con una certa frequenza. Lombardia e Lazio in testa alla classifica. Il vero nodo è la disponibilità di servizi, ancora scarsa. Ma quelli pubblici non bastano: è necessario uno sforzo a livello di ecosistema

Pubblicato il 19 Nov 2021

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Nel 2021 sono più che raddoppiate le identità Spid rilasciate alla popolazione, raggiungendo un totale di 26,1 milioni di utenze attive a fine ottobre (erano 12,2 milioni a ottobre 2020), con oltre 431 milioni di accessi nel corso dell’anno (il triplo rispetto a un anno fa). Un maggiorenne su due possiede un’identità Spid, il 43% degli italiani. Un boom trainato dai recenti interventi normativi che hanno favorito lo switch-off della Pa, dagli sforzi di Identity provider (IdP) e Service provider (SP), da iniziative come il cashback e dalla necessità di accedere al green pass, che sarà ulteriormente spinto dalla possibilità di scaricare gratuitamente 14 certificati dall’anagrafe.

A scattare la fotografia è la nuova ricerca dell’Osservatorio Digital identity della School of Management del Politecnico di Milano (SCARICA QUI IL REPORT COMPLETO), secondo cui la corsa alle identità digitali non riguarda solo Spid: il 99% degli utenti Internet italiani ha almeno un profilo identificativo per l’accesso online e il 97% possiede almeno un’identità certificata (fra credenziali di home banking, Spid e carta d’identità elettronica 3.0, la cosiddetta Cie). I sistemi di identità digitale più diffusi sono il social Id (posseduto dal 91%) e l’home banking (87%), 24,7 milioni di italiani sono in possesso della Cie.

L’analisi rivela che, nonostante la crescente diffusione, le identità digitali appaiono ancora sottoutilizzate: solo il 5% degli utenti usa la Cie più volte alla settimana e solo il 15% Spid, contro il 41% che usa l’home banking con la stessa frequenza. Una delle principali ragioni è un portafoglio di servizi accessibili ancora limitato, con le Pa che hanno appena concluso lo switch off delle credenziali proprietarie imposto dal Dl Semplificazioni e le imprese private ancora più indietro: a fronte di 9.081 enti pubblici che hanno integrato Spid e 1.790 che hanno adottato Cie, sono solo 59 le aziende nel circuito Spid e 3 in Cie.

Lo scenario internazionale: Italia al sesto posto

Nel 2021 è cresciuta la diffusione di molti sistemi di identità digitale in Europa. Alcuni di essi erano già diffusi prima della pandemia e nell’ultimo anno hanno raggiunto quasi tutta la popolazione, come in Olanda, dove DigiD è utilizzato dal 95% dei cittadini, in Svezia, dove BankID è stato attivato dall’83% degli svedesi, e in Norvegia, dove BankID copre il 79% dei norvegesi. Anche i sistemi di riconoscimento che a inizio 2020 apparivano ancora in fase di sviluppo hanno segnato una crescita notevole. Il sistema belga Itsme, ad esempio, ha quasi raddoppiato la sua penetrazione, passando dal 22% al 46% della popolazione coperta, così come il sistema francese FranceConnect, che è passato dal 28% al 45% di francesi registrati. L’Italia si colloca al sesto posto fra i paesi analizzati, con il 43% di cittadini utenti Spid contro il 22% di un anno fa.

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Inps, app Io e Agenzia Entrate i servizi più usati

Spid ha registrato la crescita maggiore tra i sistemi attivi nel panorama italiano e ormai un maggiorenne su due ne è in possesso, con percentuali di diffusione diverse a seconda della fascia anagrafica e dell’area di residenza. Oltre l’87% dei giovani tra i 18 e i 24 anni è un utente Spid, ma lo è solo il 34% dei 65-74enni e appena il 14% degli over 75. Il Nord Ovest è l’area con la maggior percentuale di utenti rispetto alla popolazione, il 55%, seguito dal Centro con il 54%, dal Sud e Isole con il 45% e dal Nord Est con il 44%. Le regioni più virtuose sono Lombardia e Lazio, dove il 60% dei cittadini è registrato, mentre in Molise, Sardegna e Calabria a stento si raggiunge il 41% di utenti. Le donne sembrano leggermente più propense ad attivare Spid e rappresentano il 51% del totale degli utenti del sistema.

Insieme al numero di identità digitali attivate, cresce anche l’effettivo uso di Spid. Nel primo semestre dell’anno l’incremento è stato pari al +10% mese su mese, +5% nel terzo trimestre, con il picco di 58,8 milioni di accessi in un solo mese raggiunto a ottobre. Nel 2021 ogni utente ha effettuato in media 17 accessi con Spid, contro i 9 accessi medi per utente del 2020, e i servizi maggiormente utilizzati sono stati quelli offerti da Inps, app Io e Agenzia delle Entrate.

I cosiddetti “heavy users” (coloro che utilizzano i sistemi di identità digitale più volte alla settimana), però, sono ancora una minoranza: il 15% nel caso di Spid, il 5% nel caso di Cie, mentre salgono al 41% se si guarda alle credenziali home banking. La maggior parte dei possessori di identità digitali le utilizza poche volte l’anno o alcune volte al mese (medium users): il 71% per Spid, il 65% per Cie e il 51% per l’home banking. Una parte non trascurabile degli iscritti è invece ancora “dormiente”, ovvero costituita da utenti che utilizzano Spid (14%), Cie (30%) e home banking (8%) solo sporadicamente o non le usano affatto.

Rischio che la corsa si fermi: necessario uno sforzo sul privato

“La pandemia continua a spingere la diffusione dei sistemi di identità digitale, rendendoli sempre più centrali nella vita dei cittadini – afferma Giorgia Dragoni, direttore dell’Osservatorio Digital Identity -. Ma c’è il rischio concreto che questa corsa si esaurisca con il graduale ritorno alla normalità e per questa ragione è necessario uno sforzo comune per valorizzare al massimo le potenzialità dell’identità digitale, che deve essere vista non più come una scelta obbligata per accedere a servizi basilari durante l’emergenza ma come un volano per accelerare la trasformazione digitale del paese”.

“Le identità digitali in Italia mostrano ancora enormi potenzialità inespresse – spiega Valeria Portale, direttore dell’Osservatorio Digital Identity -. L’assenza di una pluralità di servizi a cui accedere tramite questi sistemi rischia di frenare lo slancio degli ultimi mesi. I servizi pubblici, da soli, non possono trainare la crescita necessaria per raggiungere nel 2026 il 70% della popolazione in possesso di identità digitale certificata, come previsto dal Pnrr. Come dimostrano i dati del contesto europeo, i sistemi con una diffusione ampia e un utilizzo strutturale nella quotidianità degli utenti sono caratterizzati da un ecosistema ricco di servizi, che ampliano le potenzialità di queste chiavi di accesso, ne incrementano il valore e ne sostengono la diffusione”.

“Non possiamo aspettarci che la crescita dell’identità digitale in Italia continui con lo stesso ritmo sostenuto degli ultimi mesi senza trovare nuovi meccanismi di sviluppo – afferma Luca Gastaldi, direttore dell’Osservatorio Digital Identity -. Per uscire dal mondo pubblico e diventare il passe-partout per ogni interazione digitale, serve una sistematica strategia di coinvolgimento e una chiara proposta di valore per il mondo privato. Fondamentale sarà costruire un’alternativa di identità digitale trasversale più conveniente rispetto ai sistemi proprietari, integrare ai dati basici degli utenti ulteriori attributi che ne facilitino il riconoscimento nell’accesso ai servizi in diversi ambiti, disegnare un’esperienza d’uso inclusiva per tutte le fasce di utenti e lavorare all’interoperabilità con altri sistemi internazionali”.

 

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