NUOVA IMPREDITORIA

E-commerce e big data, in Italia un’azienda su tre è a guida femminile

Una ricerca a cura dell’Università di Padova fa il punto su mondo del lavoro e gender gap. Superiore alla media generale la quota di società fondate da donne nei settori delle vendite online e dell’analisi dei dati. Ma nell’ambito dei servizi Internet e del software pesa ancora la carenza di formazione

Pubblicato il 27 Ott 2021

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E-commerce e data analysis. Sono questi i due comparti che trainano l’impresa femminile in Italia. In particolare, nell’e-commerce le imprese aperte da donne rappresentano il 26,8% di tutte le imprese (4,8 punti sopra la media generale) mentre nella data analysis sono femminili il 30% delle imprese (8 punti sopra la media). Emerge ricerca “Dal soffitto al Diaframma di vetro – Imprese e carriere al femminile” realizzata da Paolo Gubitta (responsabile scientifico, Università di Padova) insieme a Paolo Ghezzi, Giovanna De Vincenzo, Serafino Pitingaro, Niccolò Stamboglis e Luca Vettore (InfoCamere) e presentata nell’ambito della nona edizione del DigitalMeet.

Emerge il Gender Finance Gap

L’utilizzo della definizione “Diaframma di vetro”, al posto del consolidato Soffitto di vetro, mette in evidenza – si legge nello studio – “una sorta di autoselezione di genere, che porta (o spinge) le donne a fare impresa nei settori tradizionalmente concepiti come mestieri da donna”.

Oltre al Gender Pay Gap la ricerca mette l’accento sul Gender Finance Gap, cioè la difficoltà ad ottenere forme di finanziamento, che nel nostro Paese può essere una chiave di lettura per spiegare la persistente propensione delle donne a fare impresa sotto forma di ditta individuale.

Il peso della scarsa formazione Stem

Se e-commerce e data analysis rappresentano una leva per l’imprenditoria femminile, lo stesso non si può dire per settori come servizi Internet, dove è femminile solo il 18,3% delle imprese, e di produzione software, dove la quota di impresa femminile rappresenta il 9,9%.

Una differenza attribuibile al “background di chi fa impresa – si legge nel documento -. L’avvio di un’azienda che si occupa di gestire un portale, di organizzare i dati sul traffico di un sito e trasformarli in analytics a supporto delle decisioni aziendali, di elaborare e gestire un servizio di e-commerce in proprio o in outsourcing per altre aziende, richiede conoscenze e skill che rientrano nel variegato mondo delle scienze economiche, manageriali e statistiche in cui la presenza di donne nei percorsi formativi universitari è sostanzialmente pari a quello degli uomini”.

E’ minore invece nelle attività a maggior contenuto di conoscenze di area Stem, “come possono essere la produzione di software, la consulenza su reti e informatica, la fornitura di servizi di telecomunicazione e gestione reti di dati”.

I dati sulle imprese al femminile

Nel complesso il 22% di tutte le imprese iscritte al Registro Imprese è “donna” (nel senso di proprietà e direzione in prevalenza o totalmente di donne). Ma l’Italia si conferma lunga e stretta: Centro, Sud e Isole battono il Nuovo Triangolo Industriale (LoVER, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna).

La ripartizione territoriale indica una certa disomogeneità e riserva qualche sorpresa. La quota rosa più elevata si ha infatti nelle Regioni del Sud (27,4% in Molise, 26,4% in Basilicata, 25,% in Abruzzo, 24,4% in Sicilia) e del Centro (24,8% in Umbria), mentre sono sotto la media nazionale alcune regioni come Lombardia (18,9%), Emilia Romagna (20,8%), Veneto (18,9%) e Trentino Alto Adige (18,1%). Non si può ignorare che nei territori con un tessuto imprenditoriale meno vivace e con minori opportunità di intraprendere altre carriere professionali o manageriali, l’apertura di una ditta individuale può essere una via alternativa per ovviare alla precarietà.

Riflettori sul fronte finanziario

Riflettori accesi anche sul ruolo della finanza. Le donne imprenditrici in quasi 2 casi su 3 aprono (62%) una ditta individuale: meno rischiosa ma potenzialmente meno innovativa. Una spiegazione risiede nei dati rilasciati dal Global Findex secondo cui per una donna italiana è più difficile prendere soldi a prestito dal sistema finanziario rispetto agli uomini, e rispetto alle donne di altri Paesi.

È evidente che la minore propensione a chiedere prestiti può derivare dal fatto che le donne fanno impresa in settori con minor fabbisogno di accesso al credito, ma è anche vero che ci può essere una sorta di segregazione in questi settori, alla luce delle maggiori difficoltà a ottenere credito.

Le imprese femminili in Italia fanno emergere, si legge nello studio, “quello che possiamo denominare un diaframma di vetro, una sorta di separazione che spinge, o confina, le imprese a traino femminile nei settori che nell’immaginario collettivo sono “a vocazione femminile”.

Le donne nelle stanze dei bottoni

La presenza delle donne nelle stanze dei bottoni è pari al 23,2% su tutte le posizioni censite e quiindi ancora lontana da posizioni di equilibrio di genere. Le consigliere di amministrazione sono il 24,6%. Grazie alla legge Golfo Mosca, nel 2019 la presenza delle donne nei Cda delle società quotate è arrivata al 36,3%. Nei ruoli di direzione e governance, che sono quelli che incidono maggiormente su strategia e direzione delle imprese, la presenza femminile è del 23,1%. Le donne hanno mediamente 1,4 cariche (a fronte delle 1,7) degli uomini.

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