LO STUDIO

Tecnologia leva dell’agrifood sostenibile, nel 2020 boom di startup. Italia in (lenta) crescita

Aumentano del 56% nel mondo le nuove imprese che puntano a produzione e consumo responsabili e crescita inclusiva, secondo l’Osservatorio Food Sustainability della School of Management del Polimi. Il ruolo dell’hi-tech nell’agricoltura di precisione e nel packaging “parlante”

Pubblicato il 02 Lug 2021

Man farmer with digital tablet in field using apps
Man farmer with digital tablet in field using apps

Sono 1.808 le startup agrifood sostenibili nate a livello internazionale fra il 2016 e il 2020, il 56% in più delle 1.158 censite lo scorso anno e il 25% del totale delle startup dell’agroalimentare (7.120). Il 40% ha ottenuto almeno un finanziamento, per un totale di 5,6 miliardi di dollari raccolti, pari a una media di circa 7,7 milioni di dollari (2,5 milioni in più rispetto al 2019). E la tecnologia è elemento strategico nell’accelerazione innovativa dell’ecosistema: agricoltura di precisione e packaging “parlante” spinti da strumenti hi-tech.

Emerge dalla ricerca dell’Osservatorio Food Sustainability della School of Management del Politecnico di Milano secondo cui Norvegia (24 startup agrifood, il 58% sostenibile), Israele (139 startup, 46% sostenibile) e Uganda (24 startup, 46% sostenibile) sono i paesi con la più alta percentuale di nuove imprese agrifood che perseguono obiettivi di sostenibilità fissati dall’Agenda 2030 dell’Onu.

L’Italia cresce, ma al ralenti

Nella classifica l’Italia si colloca solo in 12esima posizione con 22 startup sostenibili sulle 76 nuove imprese agrifood censite (29%), ma presenta un mercato in evidente crescita rispetto allo scorso anno: 15 startup sostenibili in più (erano 7 nel 2019, il 13% del totale) e 23 milioni di dollari di investimenti raccolti contro i 300mila dollari di un anno fa, pari a un finanziamento medio di un milione di dollari.

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Crescono l’interesse e gli investimenti nel packaging sostenibile, in grado di “parlare” ai diversi attori della filiera promuovendo comportamenti virtuosi. E si riscopre il ruolo delle filiere corte sostenibili, che sfruttano la prossimità geografica, relazionale e informativa per accorciare le distanze fra produttori e consumatori e ridurre le diseguaglianze di redditi fra piccoli produttori e grande distribuzione.

Packaging a misura di e-commerce

“La pandemia ha avuto un forte impatto sui sistemi alimentari urbani, mettendo in crisi l’accesso al cibo per le fasce di popolazione più vulnerabili, accentuando paradosso dell’insicurezza alimentare a fronte dello spreco di cibo e stressando le filiere agroalimentari globali – afferma Raffaella Cagliano, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability -. È emersa l’importanza di tracciare e condividere le informazioni e il ruolo centrale del packaging, che attraverso tecnologie e materiali innovativi si è adattato al boom dell’e-commerce”.

“L’emergenza non ha arrestato il fermento innovativo del settore, che, nel quinquennio dal 2016 al 2020, ha visto una crescita di startup agrifood che propongono nuove soluzioni orientate agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile – spiega Paola Garrone, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability -. I fornitori di servizi guidano l’innovazione sostenibile nel sistema agroalimentare (744 startup, 41%), con soluzioni per raccogliere e condividere dati e informazioni, migliorare la programmazione della produzione e la gestione delle scorte, ridurre gli sprechi. Seguono le startup attive nella fase di Food Processing (352, 20%), con investimenti in ingredienti naturali e cibi proteici alternativi, e i fornitori di tecnologia (205 startup, 11%), che offrono tecnologie innovative per l’agricoltura di precisione”.

Il progetto Hub di Quartiere a Milano

Le amministrazioni cittadine stanno assumendo un ruolo fondamentale per risolvere il paradosso tra insicurezza alimentare e spreco di cibo in ambito urbano, sviluppando politiche di contrasto alla povertà e ridistribuzione delle eccedenze alimentari. Un esempio di queste politiche è il progetto Hub di Quartiere contro lo Spreco Alimentare, lanciato a gennaio 2019 nel quartiere Isola di Milano per raccogliere prodotti rimasti invenduti nei punti vendita della gdo e di pasti non serviti nelle mense aziendali in un hub logistico in cui i prodotti vengono smistati, creando mix alimentari equilibrati.

Nel 2020 grazie al progetto sono stati raccolte 76 tonnellate di alimenti, per un valore economico di oltre 310mila, ridistribuite a 3.300 nuclei familiari. “Nei primi 4 mesi del 2021 – dice Giulia Bartezzaghi, Direttrice dell’Osservatorio Food Sustainability – sono state già raccolte oltre 60 tonnellate di eccedenze, per un valore economico di oltre 250.000 euro, ridistribuite a 27 organizzazioni non-profit”.

I modelli anti-spreco

Le imprese stanno adottando iniziative per recuperare e valorizzare le eccedenze generate con una logica di economia circolare, definendo priorità strategiche e criteri di gestione. Secondo un sondaggio condotto dall’Osservatorio su 109 centri di trasformazione (stabilimenti produttivi e depositi di distribuzione) di imprese con fatturato superiore a 50 milioni di euro, l’attenzione del comparto della trasformazione alimentare si concentra sulla prevenzione attraverso la programmazione flessibile della capacità produttiva (87% del campione), il miglioramento della previsione della domanda (83%) e l’adozione di soluzioni di packaging innovativo (62%) e tecnologie per migliorare la conservabilità dei prodotti (56%). La priorità di gestione delle eccedenze generate, invece, ricade sulla ridistribuzione per consumo umano, preferibilmente attraverso la donazione a organizzazioni non-profit (70%).

“Nel comparto della trasformazione c’è un’attenzione crescente alla prevenzione degli sprechi alimentari, ma la misurazione delle eccedenze non è ancora sistematica nelle diverse fasi del ciclo del prodotto e resta un ambito su cui lavorare e investire per introdurre processi più strutturati ed efficaci – afferma Marco Melacini, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability – L’impegno del management verso la circolarità, il coinvolgimento del personale e l’attenzione all’opinione dei media e degli altri stakeholder e le opportunità di sinergie con gli altri attori della filiera sono i principali fattori che spingono ad adottare pratiche di economia circolare. Ma emergono diverse barriere alla circolarità legate alle difficoltà operative di gestione, alla scarsa conoscenza delle soluzioni disponibili, alle incertezze normative e a una limitata comunicazione di filiera”.

La sostenibilità del food packaging

Crescono l’attenzione e gli investimenti verso nuove soluzioni tecnologiche e di packaging capaci di migliorare la conservabilità dei prodotti e di estenderne la “shelf life”. Il packaging ha un ruolo sempre più importante nella prevenzione e riduzione delle eccedenze alimentari e la sua progettazione incide in tutte le fasi del ciclo di vita del prodotto alimentare.

Un packaging è sostenibile quando promuove comportamenti virtuosi da parte del consumatore e quando è “parlante”, cioè sfrutta tecnologie innovative per condividere in tempo reale informazioni che consentono di ottimizzare la conservazione e preservare la qualità del cibo; quando migliora la tracciabilità e utilizza materiali ad alte prestazioni.

“Le nuove tecnologie permettono al packaging di “parlare” ai diversi attori della filiera, promuovendo comportamenti sostenibili e responsabili – spiega Barbara Del Curto, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability -. Con la tecnologia è possibile raccogliere e trasmettere direttamente al consumatore informazioni sulle date critiche, la composizione e l’origine dei materiali, le caratteristiche dell’imballaggio, i rapporti di filiera e le modalità di produzione, estendendo l’esperienza del consumatore oltre la fase di acquisto e consumo. Ma l’impatto è positivo sull’intera supply chain, poiché abilita trasparenza e prossimità informativa, facilita la gestione del cibo e previene gli sprechi”.

La filiera corta sostenibile

A livello globale, il 90% delle aziende di produzione agricola rientra tra le “family farms”, ovvero piccole realtà a conduzione familiare, mentre in Europa il dato sale al 95%. Lo stadio della produzione agricola è un anello fondamentale della filiera, ma spesso le dimensioni ridotte e lo scarso potere contrattuale di queste realtà alimentano diseguaglianze nella distribuzione dei redditi lungo la filiera e il problema della povertà rurale. “Lo sviluppo delle aree rurali e il supporto ai produttori di piccola scala sono sfide che si possono vincere con ‘filiere corte sostenibili’, cioè filiere basate su relazioni quanto più dirette e durature fra i diversi attori della filiera – dice Federico Caniato, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability -. Non si tratta solo di ridurre il numero di intermediari e di anelli lungo la filiera ma di lavorare sull’intensità delle relazioni fra produttori, fornitori e consumatori”.

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