IL CASO

Big tech multate in Russia, nel mirino la conservazione dei dati

Il tribunale del distretto di Tagansky ha multato Meta con 18 milioni di rubli, Whatsapp con 15 milioni e Spotify con 500mila rubli per aver immagazzinato le info degli utenti russi al di fuori del Paese

Pubblicato il 29 Lug 2022

Big tech

Ci sono quasi tutte le aziende big tech e social networking tra quelle che un tribunale russo del distretto di Tagansky ha deciso di multare, accusandole di non aver rispettato le dovute procedure per la conservazione dei dati degli utenti russi all’interno del territorio russo. Come riferisce la Reuters, Meta Platform ha ricevuto una multa per un valore 18 milioni di rubli (301mila euro) per “reiterazione del reato”, avendo già ricevuto una multa da 4 milioni di rubli ad agosto 2021; Whatsapp per 15 milioni di rubli, Match group, proprietario della app di dating Tinder, per 2 milioni di rubli; Snap e Hotels.com, possedute dal gruppo Expedia – che nel frattempo ha fatto sapere di voler contestare la sentenza, dato che la sua filiale russa avrebbe chiuso ad aprile scorso -, una multa per 1 milione di rubli; ed infine Spotify, la app musicale, per 500mila rubli.

Da quando Mosca ha approvato nel 2015 una legge sull’obbligo per le aziende big tech di conservare i dati degli utenti russi in territorio russo, più di 600 aziende straniere hanno garantito il proprio adempimento, come ha fatto sapere ieri Anton Gorelkin, a capo del comitato parlamentare per le politiche sull’informazione. “Nel contesto di una guerra di informazione con l’Occidente, siamo convinti che questa legge fosse necessaria”, ha scritto Gorelkin su un canale Telegram. “Solo in questo modo possiamo essere sicuri che i servizi di intelligence stranieri e tutta una serie di soggetti fraudolenti non abbiano accesso ai nostri dati”, ha concluso.

Mancata fornitura della documentazione

L’autorità di regolamentazione delle comunicazioni, Roskomnadzor, ha fatto sapere nello specifico che tutte e cinque le compagnie non avrebbero fornito, nei tempi richiesti, la documentazione necessaria a confermare che l’archiviazione dei dati degli utenti russi è avvenuta in territorio russo, e non altrove. E’ solo l’ultimo episodio di una escalation di tensioni – anche nella dimensione cyber e telematica – iniziata con l’invasione russa dell’Ucraina, lo scorso 24 febbraio.

Anche Spotify avrebbe chiuso i suoi uffici in Russia da marzo, poco prima di sospendere anche i servizi in toto. Discorso diverso per Meta, visto che tanto Facebook quanto Instagram e Twitter, sono stati quasi del tutto bloccati dalle autorità russe all’indomani della citata invasione dell’Ucraina, inducendo gli osservatori a rafforzare l’idea che Mosca eserciti un controllo rigidissimo sul flusso di informazioni, avendo poi anche definito quelle di Facebook delle “attività estremiste”. Whatsapp è invece rimasto accessibile nel paese.

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