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UberPop, per la Corte Ue è servizio di trasporto: va regolato

Storica sentenza dei giudici di Lussemburgo: la società del ride hailing non è solo una piattaforma digitale ma un servizio taxi: i paesi Ue potranno anche chiedere la licenza. Uber: “Aperti al dialogo con le città europee”

Pubblicato il 20 Dic 2017

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La sentenza della Corte di Giustizia europea non lascia spazio di manovra per la società del ride hailing numero uno al mondo: la californiana Uber, che da sempre sostiene di essere una piattaforma digitale che tramite la app mobile mette in collegamento chi offre e chi cerca un passaggio, è invece per l’organo massimo della giustizia europea un servizio di trasporto e come tale va regolamentato in base alle norme del settore. Spetta ai diversi paesi normare di conseguenza Uber: non è detto che siano tutti propensi a un approccio regolatorio pesante, ma la porta è aperta per chiedere a Uber di acquistare delle licenze per i suoi conducenti, esattamente come devono fare i tassisti. “La Corte di giustizia ritiene che questo servizio di intermediazione sia parte integrante di un servizio globale il cui elemento principale è il servizio di trasporto e, per questo, non soddisfa la qualifica di ‘servizio di società di informazione’ ma quello di un ‘servizio in ambito di trasporti‘”, si legge in una nota della Corte. “Spetta agli Stati membri regolamentare le condizioni di prestazione del servizio, sempre che si rispettino le norme generali del trattato Ue”.

I giudici di Lussemburgo ritengono che il servizio fornito da Uber debba essere considerato parte integrante di un servizio complessivo in cui l’elemento principale è un servizio di trasporto e non un servizio digitale. Di conseguenza non si applica in questo caso la direttiva Ue sul commercio elettronico e nemmeno la direttiva servizi nel mercato interno. Per lo stesso motivo Uber non rientra neppure nella libera prestazione dei servizi in generale, ma nella politica comune dei trasporti.

Il caso è finito davanti alla Corte europea di giustizia dopo il ricorso presentato da un’associazione professionale di tassisti di Barcellona davanti al tribunale di commercio della città spagnola, che ha chiesto ai giudici di verificare se i servizi offerti da Uber debbano essere considerati servizi di trasporto, servizi propri della società dell’informazione oppure una combinazione di entrambi.

Nessun dubbio per i giudici dell’Ue: un servizio d’intermediazione come quello di Uber, che mette in contatto via app e dietro retribuzione conducenti non professionisti utilizzatori della propria auto con persone che desiderano effettuare uno spostamento, “deve essere considerato indissolubilmente legato a un servizio di trasporto” e non può beneficiare delle norme che valgono per la libera prestazione dei servizi né per il commercio. Il servizio di Uber non è soltanto un servizio d’intermediazione, secondo i giudici di Lussemburgo, in quanto il fornitore “crea al contempo un’offerta di servizi di trasporto urbano”; la app di Uber è indispensabile sia per i conducenti sia per le persone che intendono effettuare uno spostamento. C’è di più: Uber esercita “un’influenza determinante sulle condizioni della prestazione dei conducenti”.

“Questa sentenza non comporterà cambiamenti nella maggior parte dei paesi dell’Ue dove già siamo presenti e in cui operiamo in base alla legge sui trasporti”, ha commentato la società americana del ride hailing. “Tuttavia, milioni di cittadini europei ancora non possono utilizzare app come la nostra. È arrivato il momento di regolamentare servizi come Uber, come anche il nostro Ceo afferma, ed è per questo che continueremo il dialogo con le città di tutta Europa”.

In Italia sono il 4% delle persone a usare siti web o applicazioni per organizzare un servizio di trasporto online tra privati, contro una media Ue dell’8% e con picchi registrati nel Regno Unito (27%) e in Estonia (20%). Sono dati di una rilevazione Eurostat relativa al 2017. Più alta, sia in Italia sia in Europa, la percentuale di persone che prenota online un alloggio, sempre tra privati: il 17% in entrambi i casi. La prenotazione di un alloggio sul web o tramite app o social network, emerge dai dati, è più comune tra individui di età compresa tra 25 e 54 anni (22%), mentre per quanto riguarda il trasporto tende ad essere più popolare tra le generazioni più giovani (14% tra i cittadini compresi tra i 16 e i 24 anni).

La sentenza dei giudici di Lussemburgo “è in linea con le posizioni espresse dai servizi legali della Commissione e dal presidente Jean-Claude Juncker”, commenta il vicepresidente della Commissione Europea Valdis Dombrovskis, in conferenza stampa a Bruxelles. La sentenza, conclude, “si applica specificamente al modello di business di UberPop sul mercato spagnolo”.

Soddisfatti i sindacati. Per Fausto Durante, responsabile delle politiche europee e internazionali della Cgil il dirigente sindacale ”l’azienda deve agire nel quadro delle regole e delle condizioni che ciascuno degli Stati membri dell’Ue stabilisce per il settore dei trasporti. Tra i doveri, quindi, vi è anche quello di rispettare i diritti del lavoro”.

”Auspichiamo – prosegue Durante – che Uber, insieme ai sindacati dei Paesi in cui opera, definisca accordi per stabilire il giusto salario e le condizioni di lavoro dei suoi operatori”. ”Inoltre – aggiunge – chiediamo che i principi del ‘Pilastro europeo dei diritti sociali’, approvato poco più di un mese fa nel vertice di Göteborg, siano incorporati nel quadro giuridico europeo, e che veda presto la luce la direttiva sui ‘Written Statement’ sulla forma scritta dei contratti di lavoro. Una direttiva che – conclude Durante – dovrà dare copertura e garanzie anche ai lavoratori delle piattaforme, ai parasubordinati e agli autonomi”.

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