TELEFONIA MOBILE

Accesso alle informazioni, per le imprese si aprono scenari da “brivido”

Nella giurisprudenza americana si manifestano prospettive nuove e per certi versi inquietanti sulle prerogative delle imprese in tema di informazioni commerciali. Come andrà a finire? La rubrica di Nicola D’Angelo

Pubblicato il 03 Giu 2016

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Un recente caso giudiziario ha riacceso negli Stati Uniti il dibattito sugli obblighi di informazione delle imprese ai consumatori. In particolare, si è trattato della controversia su un’ordinanza dell’amministrazione cittadina di Berkely che ha imposto ai rivenditori di telefonia cellulare di comunicare ai clienti i livelli di tolleranza delle emissioni di radiofrequenze.

La FCC per la verità aveva già ha stabilito che i produttori di telefoni cellulari dovessero indicare nei manuali i livelli di emissione elettromagnetica degli apparati. Ma la questione ha riproposto il tema degli obblighi delle imprese verso i consumatori. Per alcuni l’ordinanza violerebbe la libertà di parola delle aziende, in sostanza il primo emendamento della Costituzione americana. Troppo esteso il diritto di sapere a danno del diritto di parola, diritto che varrebbe anche nel caso di attività connesse alle comunicazioni commerciali. Sullo sfondo delle varie controversie, anche di fronte alla Corte Suprema, c’è la disputa intorno ai regimi di informativa che sono imposti alle aziende. Secondo alcuni talvolta questi obblighi sono strumentali ad interessi ideologici se non addirittura politici. Non semplici strumenti di utilizzo del prodotto o anti inganni.

Per i sostenitori della libertà di impresa dovrebbero essere maggiormente valorizzati i diritti di parola delle aziende costrette invece ad una estesa attività di comunicazione. Alcuni studiosi criticano questa specie di espansionismo del primo emendamento alle imprese oltre che alla stampa. I due fenomeni avrebbero un dato di diversità sostanziale: nell’informazione il business è solo incidentale, nell’attività di impresa é tutto. Comunque la discussione aumenta in proporzione alla crescita della regolamentazione delle informative commerciali. Il fenomeno, chiaro nel caso della telefonia mobile, si manifesta anche come conseguenza del fatto che i governi non hanno l’autorità o la volontà politica di “regolare i danni”.

L’informativa finisce così per svolgere una funzione di influenza del mercato per finalità sociali. La FCC ha per esempio imposto una nuova etichetta sulle prestazioni di larga banda con una evidente finalità non solo di informazione dei consumatori ma anche di stimolo a migliorare i servizi e i prodotti. Ed è proprio a causa di queste finalità che le aziende lamentano di essere impegnate in una sorta di fedeltà forzata. D’altra parte, in un mondo che corre sempre più sui processi algoritmici, prezzi, punteggi di credito, prospettive di occupazione, accesso alle informazioni se non conosciuti possono costituire una specie di scatola nera impenetrabile. In parte ne abbiamo avuto un assaggio nello scontro di Apple con l’FBI sullo sblocco dell’ iPhone dell’attentatore di San Bernardino.

Apple ha sostenuto che in base al primo emendamento aveva il diritto di rifiutare di produrre il codice che avrebbe sbloccato il telefono. Quello che è chiaro che dopo una fase di successo del diritto del consumatore a conoscere, oggi nella giurisprudenza americana si manifestano prospettive nuove e per certi versi inquietanti sulle prerogative delle imprese in tema di informazioni commerciali.

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