PUNTO DI VISTA

Alla ricerca della posta perduta

In Italia l’arrivo della corrispondenza è diventato un evento raro. Ma il buon funzionamento del servizio postale rispecchia l’immagine di un paese. Per questo deve rispondere al bene comune, non a logiche di profitto

Pubblicato il 20 Gen 2014

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L’art. 15 della Costituzione recita: “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”. Bene, però si dovrebbe aggiungere una postilla: “Quando la posta arriva”. E sì, perché negli ultimi tempi è difficile veder spuntare lettere, raccomandate, bollettini ed altro, dalle nostre desolate buche.

L’arrivo della posta è diventato un evento raro, tanto che all’inizio ho pensato ad una strana malattia che aveva lasciato a terra i poveri postini. Poi la cosa è continuata e siccome il telegiornale non parlava di questa epidemia mi sono chiesto: ma che cosa è successo al nostro servizio postale? Poi, sempre sentendo le frammentarie notizie della televisione, ho capito.
Le Poste ora si occupano di aerei, assicurazioni, prodotti finanziari, telefonia e di tante altre belle cose. Meno, assai meno, del recapito, un tempo oggetto principale della loro attività. Capisco che il tema non va più di moda. Capisco che esiste internet, la posta elettronica e tante altre diavolerie della tecnica. Capisco che fa “fino” fare nuovi business. Ma…. Su questo “ma…” qualche giorno fa ha scritto un bell’articolo Ernesto Galli della Loggia.

Per l’editorialista del Corriere della Sera, Ferrovie e Poste non sono due istituzioni qualunque. In esse si riflette l’immagine dello Stato, del suo funzionamento. Il cittadino che resta in piedi ore in un ufficio postale e non vede arrivare più regolarmente la propria corrispondenza non pensa che le Poste sono una società per azioni dedita al profitto e non più all’interesse comune. Si arrabbia e se la prende con lo Stato italiano. E forse, aggiungo io, non a torto. Lo Stato infatti ha sulla coscienza un contratto di servizio (ciò che obbliga le Poste ancora a fare le Poste) ridotto al minimo. Gli obblighi di servizio sono al lumicino e certamente le mancanze non sono colmate dalla cosiddetta concorrenza di settore. Siamo arrivati al punto che il recapito è stato autorizzato formalmente a giorni alterni (a quest’ultima lamentela un mio amico più saggio di me mi ha risposto, forse in modo ottimistico: “almeno la posta arriverà”). Ora siamo alla privatizzazione (parziale) e la frittata sarà completa. Invece di sviluppare i servizi postali per i cittadini e la pubblica amministrazione, l’enorme potenzialità di archivio e di transazione economica, chiudono l’unica grande risorsa che faceva della Posta un unicum nel nostro Paese: i piccoli uffici. E questa non è una romanticheria.

Lo vadano a chiedere a tanti italiani, a cominciare da quelli che vivono nel Sud, leggermente “arrabbiati”, per usare un’eufemismo, di non vedere arrivare per tempo la loro posta e di doversi spostare di chilometri per fare semplici operazioni. Per chiudere, una comunicazione di servizio a chi di dovere. Le bollette telefoniche, elettriche, idriche, giungono ormai regolarmente in ritardo e costringono i tanti malcapitati a pagare, pure in ritardo, la relativa mora sulla bolletta successiva. Evitate almeno di aggiungere la beffa al danno.

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