STRATEGIE

Amazon, la concorrenza a Poste e la brutalità del business

Con il negozio di Seattle l’azienda comincia a costruire una propria identità in carne e ossa e non più solo digitale. E con l’avvio a Milano delle consegne in 1 ora punta a conquistare anche in Italia il titolo di campione della logistica. Un “modello metamorfosi” che cavalca il successo. E rottama “senza pietà” le idee che non funzionano

Pubblicato il 04 Nov 2015

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Da un lato c’è la notizia che Amazon ha deciso di portare in Italia le traduzioni dei libri elettronici che pubblica negli Usa, ovviamente in inglese. Fa parte di una strategia di espansione dei contenuti che l’azienda ha iniziato a perseguire ormai dieci anni fa, dopo aver capito che il mercato iniziale, quello della vendita dei libri cartacei online, era minacciato dal mercato degli ebook digitali e dei contenuti generati dagli utenti. In casa nostra la reazione sarebbe stata l’arrocco, il tentativo di bloccare o quantomeno rallentare il cambiamento con tutti i mezzi. Invece, gli americani guidati da Jeff Bezos hanno pensato esattamente al contrario e hanno deciso di cavalcare il cambiamento: meglio guidare l’esercito invasore del proprio castello che subire l’entrata dei barbari.

Gli ebook sono nati con questa idea: un reader digitale proprietario venduto da Amazon stessa sul quale far entrare non solo la versione elettronica dei libri tradizionali ma anche la gigantesca spinta dei “romanzi nel cassetto” e di altre forme di narrazione (o pseudo-narrazione) autoprodotte dagli utenti. Nel 2012 uno dei primi esempi fu un saggio-romanzo di 150 pagine creato da un solitario autore, che aveva lasciato il numero di telefono della sua segreteria disponibile su internet e faceva domande esistenziali, raccogliendo le risposte di migliaia di anonimi da tutti gli Stati Uniti e oltre. Una prosa collaborativa, sicuramente sperimentale, che non ha venduto quasi niente. Ma che ha attratto l’attenzione e soprattutto ha fatto da punta di lancia di una intera legione di autori autoprodotti che non guadagneranno mai nulla, ma il cui totale produce ricavi per Amazon. Per l’azienda che ha ispirato a Chris Anderson (all’epoca direttore di Wired negli Usa) la teoria della “coda lunga”, un’ottima evoluzione.

Non è finita. Perché nel frattempo Amazon ha anche fatto partire anche in Italia, per adesso solo a Milano, le consegne in giornata in un’ora. Un modo per ricordare a tutti che l’azienda è molto più che non un portale internet o un semplice distributore di prodotti e contenuti. È un vero campione della logistica. Capace di espandersi dal mercato americano, abituato da quasi un secolo ad avere un sistema postale molto efficiente e capillare (negli Usa i post office sono avamposti del governo federale, rilasciano i passaporti, garantiscono un collegamento con la civiltà anche delle regioni più remote), e penetrare anche in mercati più difficili. Come la Cina. E, diciamolo, come l’Italia, che è stata piagata invece dai tempi dell’Unità, più di un secolo e mezzo, da un sistema postale costoso, inefficiente e lacunoso, che per quanto riguarda l’ex monopolista oggi vive sostanzialmente grazie ad altre attività collaterali, mentre il sistema nel suo complesso fa tutt’ora fatica a garantire un sistema di distribuzione capillare ed efficace. In questa impresa Amazon è riuscita a dare il meglio e ad imporre il suo modello e i suoi tempi, sino ad arrivare a questa prova muscolare di poter effettuare le consegne in un’ora su un campionario più ristretto rispetto all’offerta totale del sito che comunque è qualcosa che i concorrenti non saprebbero neanche da che parte cominciare per riuscire a farlo.

Il servizio parte a Milano semplicemente perché la città è più vicina a uno dei grandi centri di logistica (Piacenza) e perché il capoluogo meneghino ha una estensione geografica più limitata ad esempio della capitale, Roma: si può traversare Milano da parte a parte in meno di un’ora, cosa impossibile invece con il traffico della città eterna.

E non è ancora finito. Perché mentre in Italia veniva lanciata la consegna in un’ora e mentre arrivava la notizia del servizio di traduzione dei libri americani per il nostro mercato, tutto “estero su estero” per quanto riguarda i nostri editori, Amazon negli Usa ha fatto ancora di più. E, venti anni dopo aver visto la luce a Seattle con lo scopo di vendere libri di carta tramite internet, ha aperto la sua prima libreria fisica. Si tratta di un negozio che è più un segnalibro nella mente delle persone che non una vera opportunità di business. È uno store “fisico” in cui sono accumulate migliaia di libri scelti per essere tenuti a scaffale sulla base delle scelte effettuate online. E vengono rapidamente aggiornati quando queste evolvono.

Ovviamente nello store di Amazon non si trova tutto, ma è un’apertura al mondo “fisico”, dopo quella dei centri di raccolta dove è possibile andare a prendere i prodotti ordinati (per chi non abbia servizi di portineria o la possibilità di essere in casa quando passa il corriere). Ed è un’apertura che ha senso perché consente all’azienda di mostrare il suo volto “in carne e ossa” dopo quello virtuale del portale web. Altrimenti sono i corriere e i postini gli ambasciatori del marchio di Amazon, perché sono loro che si presentano nelle case dei clienti a consegnarli i pacchi. Invece, Amazon manifesta chiaramente la volontà di riprendere in mano la relazione con la clientela e lo fa in maniera furba, perché riesce anche a guadagnarsi l’attenzione dei media.

Un’attenzione che l’azienda alle volte trova anche quando non vorrebbe. Come la recente polemica sul “protezionismo” di Amazon, che ha cacciato dal suo negozio online le nuove Apple Tv e i Chromecast di Google, per “fare chiarezza” rispetto ai suoi prodotti, che rischiavano di “essere confusi” con quelli della concorrenza. Tutto legale, perché il diritto di un negoziante di non tenere a catalogo qualsiasi prodotto è sacrosanto, ma è anche vero che Amazon è in pieno conflitto di interessi facendo così: lei produce gli stessi apparecchi hardware dei suoi concorrenti per fruire dei programmi in streaming, in più realizza anche molti contenuti (negli Usa ha uno studio televisivo che produce numerose serie tv) e infine ha il canale per vendere gli apparecchi suoi e della concorrenza. È legale bloccare la distribuzione degli apparecchi della concorrenza ma non è sportivo.

Ci sono poi le mai cessate polemiche sulla qualità del lavoro: i tempi, le modalità, la pressione alla quale sono sottoposti i lavoratori, i turni, la richiesta di produttività. Non ci sono voci univoche anche perché molti degli intervistati, soprattutto dalla stampa americana, spesso poi sono ex dipendenti licenziati che potrebbero avere tutti i motivi per parlar male del proprio ex datore di lavoro. Il New York Times ha fatto un paio di inchieste più di recente che sono però finite “male”, nel senso che Amazon ha potuto obiettare punto per punto la solidità delle testimonianze portate contro la qualità del lavoro nei propri magazzini. Merito della leggerezza dei reporter della vecchia signora del giornalismo statunitense (sbagliano anche loro) ma merito anche dell’assunzione di uno degli ex addetti stampa di Barack Obama, oltre ad aver acquistato peso politico e di “moral suasion” dopo l’acquisto del Washington Post nel 2013. Jay Carney, a capo della strategia delle pr del presidente degli Stati Uniti, è diventato l’uomo di punta per la nuova offensiva di immagine di Jeff Bezos, che sta cercando di difendersi sul fronte della comunicazione dopo aver privilegiato per anni quella degli affari e basta.

Insomma, un periodo come un altro per l’azienda che viaggia con margini ridottissimi, utili risicati ma un fatturato sempre in crescita ormai da un ventennio. Bezos ha dichiarato più volte di appartenere al club dei paranoici, idealmente fondato da Gordon Moore di Intel: commercializzare l’attuale generazione di prodotti mentre si finalizza la prossima e si prepara quella successiva ancora. Come dire: se non si è paranoici al punto da preoccuparsi di quello che accadrà domani e dopodomani, lo sarà qualcun altro e ci sconfiggerà.

Per Amazon, questo vuol dire tagliare tutti i costi possibili per aumentare al massimo l’efficienza (da qui le polemiche sulla qualità del lavoro nei magazzini) e nel frattempo aprire costantemente nuove linee di business, agire rapidamente sempre su nuovi fronti e, se i risultati non sono soddisfacenti, altrettanto rapidamente fare retromarcia e chiudere tutto. Oppure, se le cose vanno bene, investire ancora di più.

È quanto è successo ad esempio con il mercato del cloud computing, che l’azienda ha inventato praticamente da sola, che ancora domina (di poche settimane fa la conferenza di Las Vegas con un’inedita folla per questo settore di 35mila partecipanti) e che ha intenzione di trasformare e continuare a dominare ancora a lungo ma come azienda separata dalla casa madre (Amazon Web Services, AWS).

Se il business viaggia, Bezos non lo interrompe. Altrimenti, se non va come dovrebbe, lo termina senza pietà. E non c’è comunicato stampa o attività di spindoctoring di Jay Carney che possa dire il contrario. È la brutalità del business ai tempi di Internet.

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