I dipendenti del negozio Apple della Grand Central Station di New York hanno avviato le procedure per organizzare un sindacato. Se l’iniziativa avesse successo, nascerebbe la prima organizzazione sindacale all’interno di un punto vendita Apple negli Stati Uniti. La neonata “Fruit Stand Workers United” ha già iniziato a raccogliere firme: l’obiettivo è convincere almeno il 30% dei dipendenti a sottoscrivere la richiesta di voto per approvare o rifiutare la creazione di un sindacato. Secondo il Washington Post, che cita dipendenti che hanno chiesto l’anonimato per paura di perdere il posto, a organizzarsi ci sarebbero anche i lavoratori di almeno altri tre negozi Apple negli Usa.
I sindacati cominciano a prendere piede nelle multinazionali
“Grand Central è un negozio straordinario con condizioni di lavoro uniche che rendono necessario un sindacato per assicurare alla nostra squadra gli standard di vita migliori”, si legge nella pagina web dei promotori dell’iniziativa, lanciata dopo primi i successi ottenuti in Amazon e Starbucks. Secondo le indiscrezioni, i lavoratori chiedono con il sindacato un salario di 30 dollari all’ora e un aumento dei benefit. Non a caso, il gruppo si è affiliato a Workers United, che raccoglie anche lavoratori delle caffetterie Starbucks, a sua volta affiliata al sindacato del settore servizi Seiu.
Apple rischia così di diventare la terza multinazionale, dopo Amazon e per l’appunto Starbucks, ad affrontare una campagna di sindacalizzazione negli Stati Uniti. Dopo la formazione di un sindacato in due caffetterie a dicembre, infatti, hanno presentato richiesta di voto i dipendenti di più di 160 sedi Starbucks.
A Staten Island, New York, i lavoratori di un magazzino Amazon invece avevano espresso una maggioranza schiacciante a favore della formazione di un sindacato all’inizio del mese. Ma il National Labor Relations Board (Nlrb) degli Stati Uniti riporta che anche i lavoratori di Amazon all’interno della piccola struttura di Bayonne, nel New Jersey, hanno mostrato un certo interesse per votare sulla sindacalizzazione. Almeno 60 dei 200 dipendenti del deposito Dmk5 hanno infatti presentato la documentazione necessaria a organizzarsi come parte del Local 713 International Brotherhood of the Trade Union, ma mancano ancora data e termini per le votazioni, e secondo Reuters Amazon potrebbe contestare la validità di quest’ultima petizione.
Biden spinge per il cambiamento, ma c’è chi temporeggia
Quello della sindacalizzazione è un fenomeno che ha il pieno supporto del presidente Joe Biden. Intervenendo alla conferenza nazionale dei sindacati dei costruttori del Nord America (Building Trades Unions), Biden aveva infatti affermato che “la scelta di unirsi a un sindacato appartiene solo ai lavoratori. A proposito: Amazon, attenzione, stiamo arrivando”. Il presidente si è del resto espresso apertamente contro le intimidazioni da parte delle aziende definendo la rappresentanza sindacale “un diritto dei lavoratori”. Biden ha anche chiesto al Congresso di approvare il Protecting the right to organize act, la legge (che ha il via libera della Camera ma è in stallo al Senato) che fornisce specifiche tutele ai lavoratori che cercano di organizzarsi e limita la possibilità dei datori di lavoro di interferire con le campagne pro-sindacato.
La linea di pensiero del colosso dell’ecommerce, che non ha commentato la notizia che arriva dal New Jersey, è in effetti ancora poco chiara su questo fronte. L’ex ceo Jeff Bezos aveva cercato di correggere i comportamenti di Amazon, soprattutto in merito alla sicurezza e al benessere dei dipendenti, ma di fatto, secondo i media Usa, l’azienda tenta ancora di fermare le spinte dei dipendenti verso l’adesione al sindacato con “campagne aggressive”. Lo avrebbe fatto sia a Staten Island che nel magazzino in Alabama, dove i lavoratori l’anno scorso hanno votato contro l’adesione al sindacato. L’elezione si è tenuta nuovamente poche settimane fa, ma l’esito è incerto per via di alcuni voti contestati.