Logiche territoriali contro logica globale. Sono i due fronti del conflitto che si sta consumando in Europa sul settore audiovisivo. “La natura mondiale dell’Internet va direttamente a confrontarsi con la natura territoriale del copyright”. Lo dice Erik Lambert, specialista del mondo Tv e nuovi media, direttore di Silver Lining Project, che a suo tempo ha lavorato per Canal + e Telecom.
Monsieur Lambert, il digital single market sembra un obiettivo sfidante per i contenuti audiovisivi.
Sì: perché i settori legati al copyright sono per loro stessa natura territoriali. Senza considerare inoltre l’insieme di abitudini commerciali che si sono stratificate nei decenni. Non sto parlando della musica, che sta evolvendo, ma soprattutto dell’audiovisivo, dove sono territoriali anche le logiche finanziamento, quelle pubblicitarie… Tutto riporta a una logica locale.
Una contrapposizione dura da superare.
La contraddizione è evidentissima se guardiamo alla pirateria: il consumatore vede che esistono prodotti a prezzi diversi in un paese diverso dal suo. E in quanto consumatore non solo vorrebbe poter consumare, ma anche non sentirsi un consumatore minore.
E invece?
Dall’altro lato abbiamo un’industria le cui logiche, anche quelle strategiche che riguardano il sistema di finanziamento, sono squisitamente territoriali. In questo senso il film è un prodotto particolarmente sensibile alla territorialità, ancor più della Tv: dipende da aiuti statali, produzioni locali.
Con chi si scontra questo mondo “centrifugato”?
Con un’industria che ha alle spalle un grande mercato unico che permette economie di scala e capacità di investimento: questi sono i nostri amici e concorrenti americani. Gran parte dello sviluppo degli Over the top è dovuto ai prodotti televisivi. Non dimentichiamo che Netflix ha cominciato come distributore di dvd. Poi si è verificato il passaggio dal dvd e dei film allo streaming, oggi dominato da prodotti televisivi come le serie. Un passaggio molto impattante per l’industria che aveva già visto la maggioranza dei ricavi derivare non più dalle sale cinematografiche, ma dei dvd e dalla Tv. Tutto questo mentre in Europa si verifica una dispersione dei finanziamenti, quindi un indebolimento soprattutto se rapportato dall’industria Usa.
Però il settore europeo offre anche prodotti variegati, che riflettono diverse realtà culturali.
Ma la frammentazione da molti punti di vista è negativa, incrementa i costi. Ed è negativa anche rispetto all’impianto IT delle grandi piattaforme Usa. Netflix vanta circa 500 ingegneri. Ne deriva che se vuoi ottenere un buon prodotto, di alta qualità tecnica – e non sto parlando delle problematiche legate ai diritti – se vuoi competere con i grandi Over the top, ti serve un grande numero di ingegneri, anche per una plateao di abbonati molto più ridotta Ma se la tua industria è frammentata non hai modo di pagarli questi ingegneri. E nemmeno di trovarli: quindi non puoi offrire un servizio della stessa qualità. Internet, ripeto, ha una natura mondiale e richiede dunque grandi aree.
La questione della lingua è centrale?
La frammentazione linguistica esiste, certo. Ma non è questo il punto: il tema dell’inglese come lingua franca mondiale non è sufficiente a spiegare il divario. Piuttosto stiamo parlando di una disparità di mercato, di risorse, di cultura. Per avere un vero mercato unico servono identità europee che lavorano sull’intero mercato. Ma questo va di nuovo in rotta di collisione con le abitudine del mercato, con le produzioni territoriali e con le singolarità a livello locale.
A cosa punta la Commissione Ue?
Mi sembra che voglia evolvere verso il futuro, ma deve far fronte alla contrapposizione Usa-Europa. Sta cercando di adottare una visione più industriale, strategica: difendere le diversità, certo. Ma sta prendendo coscienza che serve un’industria forte.
Che posizione hanno gli Usa di fronte all’obiettivo Digital single market?
C’è una curiosa posizione assunta dalla Mpa (la Motion Picture Association che rappresenta gli interessi dell’industria cinematografica degli Stati Uniti): dalle loro dichiarazioni sono a favore della territorialità, cioè sulla stessa lunghezza d’onda delle più piccole case cinematografiche europee. Ma mentre la difesa dello status quo da parte degli europei è facile da capire in quanto contrastano una possibile concentrazione delle risorse, quella della Mpa molto di meno. C’è quasi il sospetto, questo è il mio pensiero, che oltre ai motivi condivisibili, il sostegno alla territorialità da parte dell’industria Usa abbia lo scopo di mantenere una certa debolezza del sistema, divide et impera: non vogliono che, in caso di revisione delle norme sul diritto d’autore, possono trasformarsi i modelli di finanziamento e di distribuzione consolidati alla base dell’industria europea, a favore d’entità europee multi-territoriale più potente.
Andremo verso un consolidamento europeo?
Stiamo già andando verso il consolidamento. Ma è lento, e si corre il rischio che i posti siano già presi. In questo senso la Commissione cerca di sostenere una trasformazione che offra possibilità di sviluppo per progetti europei di maggiori dimensioni. Ma ripeto, deve affrontare problematiche legali, industriali, operative, abitudini culturali. E per ora vedo poche società europee nel mondo del cinema e della tv pronte a mettere a rischio la produzione e il bilancio del prossimo anno per puntare a un rafforzamento dell’industria europea fra 5 o 10 anni.