L'ANALISI

Banche italiane e digitale? Il conservatorismo rischia di compromettere la crescita

È quanto emerge da un report di S&P Global Ratings: molti passi in avanti ma open banking e fintech scardineranno gli attuali modelli e chi non si adatta è fuori. I consumatori ancora indietro sull’uso delle piattaforme

Pubblicato il 18 Feb 2020

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Banche italiane e digitale? È una liaison che promette bene, ma all’orizzonte non mancano le nubi. E a frenare la corsa sarà soprattutto il conservatorismo. Questa, in sintesi, lla visione messa nero su bianco nel report “Tech disruption in retail banking: italian banks not adapting to the digital world quickly will be left behind a firma di S&P Global Ratings. “La maggior parte delle banche italiane si sta adattando al mondo digitale, migliorando i propri processi interni, offrendo ai propri clienti soluzioni multicanale e collaborando con le fintech. Tuttavia l’adozione massiva dell’open banking potrebbe richiedere più tempo, visto il conservatorismo dei clienti nell’approcciare nuovi servizi finanziari e il forte attaccamento verso i fornitori di servizi finanziari tradizionali”, emerge dal report.

Se da un lato il rischio a breve termine è considerato piuttosto basso “visti i vantaggi delle banche in termini di relazione con i clienti”, dall’altro il rischio di disruption potrebbe essere elevato “in particolare per quelle entità che non riescono a stare al passo con l’innovazione e con il contesto competitivo in costante cambiamento”.

Secondo S&P Global Ratings la corsa alla tecnologia e la crescente concorrenza in Italia potrebbero alimentare cambiamenti strutturali nel settore bancario nazionale. Le banche tradizionali dovranno continuare a migliorare i loro processi interni, promuovere l’innovazione e concentrarsi maggiormente sui servizi a valore aggiunto. E alcuni prodotti bancari di base potrebbero diventare sempre più commercializzati. Ed è probabile che tutto ciò accada tra una crescita economica lenta, tassi di interesse costantemente bassi e una redditività fortemente limitata.

“Per questo motivo, prevediamo una crescente divergenza nel settore bancario italiano”, commenta Mirko Sanna, analista di S&P Global Rating. “A nostro avviso, le grandi banche con maggiori economie di scala hanno una forte capacità di investire nell’innovazione digitale e migliorare la loro efficienza diversificando il loro flusso di entrate. Allo stesso tempo, alcune entità più piccole con un modello di business agile e leggero potrebbero adattarsi rapidamente all’evoluzione delle preferenze dei consumatori, sfruttando le opportunità che offrono le attività bancarie o colmando le lacune in alcuni segmenti di mercato. Tuttavia, vediamo un certo numero di altre istituzioni, vale a dire le banche di dimensioni medio-piccole più deboli che si occupano ancora di problemi legati alla legacy, che saranno maggiormente esposte a questo rischio di interruzione perché potrebbero non avere la capacità di far fronte alle crescenti pressioni concorrenziali che la digitalizzazione porta inevitabilmente”.

Uno dei grandi ostacoli alla crescita è rappresentato dalla scarsa conoscenza e dall’uso del digitale da parte dei consumatori: i clienti italiani sono ancora in ritardo in termini di utilizzo dell’online banking rispetto alla maggior parte dei paesi dell’Europa occidentale, evidenzia il report. Ciò cambierà gradualmente – sostiene però la società di analisi – complici le offerte delle banche ai clienti per passare al digitale. L’open banking inoltre consentirà a un numero crescente di clienti di ottenere in tempo reale informazioni per confrontare prodotti e servizi e cambiare fornitore.

L’introduzione di PSD2 e open banking presentano nuove sfide per le banche perché potrebbero minacciare le principali attività che le banche italiane hanno: la conoscenza e i dati della loro base clienti. Gli operatori di fintech di terze parti ora possono avere accesso ai dati dei clienti (con il loro consenso) e fornire alle imprese e alle persone servizi meno costosi ed elaborati su misura, senza gli stessi costi ed i vincoli strutturali che hanno le banche. Ad esempio, i clienti potrebbero conservare denaro nella loro banca tradizionale ma usare terze parti per altri servizi bancari che attualmente ottengono dalle proprie banche.

Questa sfida – si legge nel report – ha costretto le banche italiane a reagire, prima per soddisfare le esigenze tecniche e di conformità di requisiti, secondo per anticipare la potenziale futura pressione competitiva. Le banche più grandi hanno optato per soluzioni interne e hanno unito le forze con fintech per replicarsi la loro innovazione. I più piccoli si muovono di più attraverso la condivisione di soluzioni esterne che riaffermano chiaramente la loro minore capacità di innovare. Le banche utilizzano sempre più nuove tecnologie per migliorare i processi di middle e back office e strumenti di gestione del rischio. Chiaramente, la capacità di investimento è diversa tra istituzioni e nella maggior parte dei casi è vincolata da altre priorità urgenti come eliminare legacy non performanti e rafforzamento del capitale. Per alcuni, passa dall’IT legacy e i sistemi spesso obsoleti rappresentano un chiaro svantaggio rispetto agli operatori nuovi o più agili sul mercato. I big player stanno anche utilizzando l’intelligenza artificiale o l’analisi dei dati i per comprendere meglio le esigenze dei clienti e fornire più soluzioni su misura.

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