L'EDITORIALE

Banda ultralarga e digitale, che il 2021 sia l’anno della concretezza

Non ci sono più alibi. La pandemia ha già dimostrato che le aziende più innovative, soprattutto sul fronte dei processi e dell’organizzazione, sono riuscite a reggere la crisi e persino a migliorare i risultati di business. L’Italia però ha ancora molto da fare in particolare in ambito Pmi e PA. Alla politica il compito di guidare la svolta e di mettere a punto proposte che non siano proclami da libro dei sogni

Pubblicato il 04 Gen 2021

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Non ci sono più alibi. Il 2021 deve essere per il nostro Paese l’anno della svolta digitale. In realtà noi di CorCom lo abbiamo auspicato ad ogni scoccare di nuovo anno, ma questa volta le cose sono cambiate. La pandemia ha portato a galla più che mai inefficienze e ritardi noti e messi nero su bianco nelle rilevazioni internazionali, a partire dal Desi della Commissione europea – siamo nella parte bassa della classifica praticamente da sempre – ma i governi italiani, seppure consapevoli della questione, l’hanno ampiamente sottovalutata e lasciata ai margini facendosi “belli” con le politiche per il digitale di fatto solo in occasioni di convenienza (campagne elettorali e affini). L’attenzione dell’Europa per green e digitale nell’ambito del Next Generatio Eu ha cambiato nettamente le carte in tavola, anche nel nostro Paese. Banda ultralarga e digitale sono divenute parole chiave e ampiamente ripetute negli annunci e nelle misure annunciate nei mesi dal lockdown in poi. Ma per ora, al netto delle agevolazioni del Decreto semplificazioni e dei fondi per le startup e le Pmi, poco o niente è cambiato. E anche riguardo al Recovery Plan al netto di elenchi di “desiderata” per ora non si capisce dove si voglia andare a parare, come e quando.

È la macchina pubblica a dimostrare tutta la sua arretratezza: le ordinanze anti-5G, centinaia in tutta Italia, sono il segnale pericoloso dell’ignoranza e dell’incapacità di spingere i territori verso un’evoluzione necessaria e imprescindibile. E il dibattito sullo smart working diventa vuoto e sterile se non accompagnato da politiche orientate ai servizi da erogare “digitalmente” ai cittadini. Lo smart working si può fare se i dipendenti pubblici hanno accesso a risorse informatizzate e sono dotati di adeguate strumentazioni, connessioni veloci incluse. E soprattutto se ci sono le competenze. Le competenze: lo scoglio più duro. Non solo a livello di pubblica amministrazione. Se molte aziende hanno dimostrato una resilienza senza pari molte altre si sono impantanate pagando caro il prezzo di una mancata visione e di un mancato e necessario adeguamento ai tempi. E molte altre continuano a tenere alta la bandiera della “resistenza”: basti pensare alle prese di posizione persino di associazioni di stampo nazionale e di sigle sindacali che da mesi puntano il dito contro i colossi dell’e-commerce, considerati responsabili della “disfatta” e della crisi. Un minimo di onestà intellettuale indurrebbe al mea culpa e a lasciarsi gli errori dietro le spalle per passare all’azione cavalcando l’onda digitale, l’unica in grado di far recuperare al mercato competitività e di aprire nuovi spazi di business. Non ci sono più alibi.

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